XXII Domenica del Tempo Ordinario 

Anno C – Siracide 3, 19-21.30-31; Ebrei 12, 18-19.22-24a 

IL POSTO DELLA CHIESA: TRA GLI ULTIMI PER GLI ULTIMI 

Giancarlo Bruni O.S.M., in Il suonatore di flauto, ed. Servitium ed. a Cura del Priorato di Sant’Egidio – Sotto il Monte (BG) pag. 161-163; 22.a del Tempo Ordinario, Anno C 

1. Ancora di sabato, giorno del riposo,  dell’ascolto, della lode e della mensa nella pace;  ancora a tavola, luogo di grandi rivelazioni; e  ancora a casa di uno dei capi dei farisei (Luca 14,  1), i “separati separanti” da cui Gesù non si separa.  Uno stare a tavola, il suo, con altri commensali da  “osservato” (Luca 14, 1); Gesù, il provocatore, con  il suo stesso esserci è al centro dell’attenzione, e a  sua volta «osserva» facendo considerazioni. A  partire da due dati: la scelta dei posti (Luca 14,7- 11) e la scelta degli invitati (Luca 14, 12-14), che  diventano per lui occasione di una parabola, di un  paragone con il suo modo di pensare e di sentire la  realtà, di soppesarla. 

IL POSTO DELLA CHIESA: TRA GLI ULTIMI PER GLI ULTIMI 

2. Che cosa nota Gesù? Innanzitutto, il fatto  che gli invitati «sceglievano i primi posti» (Luca 14, 7), il che lo porta a dire: non siete accorti  neppure da un punto di vista meramente mondano,  contraddicendo il cerimoniale che vuole che i posti  a tavola vengano assegnati, con il rischio di venire  svergognati: «Cedigli il posto!» (Luca 14, 9),  retrocedi. E neppure sufficientemente opportunisti  e calcolatori, tipico di chi si defila fiutando di  ricavarne riconoscimento e profitto: «Amico, vieni  più avanti» (Luca 14, 10). Gesù sa quanto giochi  nella vita dell’uomo l’ansia del primeggiare e  dell’apparire, e quanto non sia mai in crisi  l’industria dell’autopromozione sia in ambito  sociale che religioso, dei primi posti nella piazza,  nella sinagoga (Luca 20, 46) e nella chiesa. 

Gesù annota, e va preso nota di quanto sia  distante dal suo orizzonte questo modo di porsi  nella vita. Per Gesù la giusta collocazione è quella  data da Dio, posta in evidenza da lui, il più grande,  quindi il primo, divenuto servo, quindi l’ultimo  (Luca 22, 24-27), il maestro e signore divenuto  lavanda dei piedi (Giovanni 13, 14), in mitezza e  umiltà (Matteo 11, 28). 

E tutto questo mosso da un unico sentimento  di amore e di compassione (Filippesi 2, 1) e da  un’unica preoccupazione: il servire e non il  primeggiare. Per questo Dio lo ha esaltato  (Filippesi 2, 9-10). E così i discepoli (Luca 9, 48;  22, 26; Matteo 20, 27; Giovanni (13, 14-15), resi  partecipi del suo stesso sentire (Filippesi 2, 5) e  della sua stessa ricompensa: «Chi si umilia sarà  esaltato» (Luca 14, 11). Ora umiliarsi equivale a  essere restituiti alla propria giusta posizione e al  proprio giusto compito: il guardare l’uomo dal  basso in alto vedendo tutti più alti, grandi e  meritevoli di sé, dediti in creativa nonviolenza al  suo bisogno e alla sua gioia nella gratuità.  Finalmente al proprio posto, quello che non fa  paura e non è malato di competizione. 

3. Il Gesù che prende atto che l’uomo è corsa  ai primi posti, a qualsiasi prezzo e con qualsiasi  mezzo, come la cronaca quotidiana insegna, annota  poi che la scelta degli invitati ai pranzi, di nozze e  no, ruota attorno ai sempre soliti noti: amici,  fratelli, parenti, ricchi, e attorno alla sempre  inesorabile logica del contraccambio. Da questa  geografia dettata da ragioni di simpatia, di sangue  e di interesse, mai in perdita, un uomo di nome  Gesù è uscito, facendosi ultimo con e per gli  ultimi, a essi banchetto nel qui e ora ed eterno, e  chiama l’uomo a seguirlo in questa strada inedita.  A divenire spazio nel cui cuore e nella cui sala da  pranzo c’è posto nella più assoluta gratuità, in perdita, per lo “scantinato della storia”: poveri,  storpi, zoppi, ciechi, gli amici prediletti di Dio.  Una scelta che rende “beati” (Luca 14, 14): «Dio  ama chi dona con gioia» (2Corinzi 9, 7), con  larghezza e senza mira di ricompensa. Beati nel  saperci in sintonia e amati dal Dio di Gesù, beati  nel sapere che chi aiuta un uomo a risorgere dal  suo stato di indigenza è introdotto da Dio nella  risurrezione eterna (Luca 14, 14; Matteo 25, 31- 46) e beati nel vedere un povero aprirsi al sorriso. 

Il cammino della chiesa è tracciato: nella  compagnia degli uomini il suo posto è l’ultimo e i  suoi amici gli ultimi. Il sentiero della felicità e  dell’eternità.

Giancarlo Bruni, (1938) appartiene all’Ordine dei Servi di Maria e nello stesso tempo è monaco della Comunità ecumenica di Bose.

Risiede un po’ a Bose e un po’ all’eremo di San Pietro alle Stinche (FI).