IV DOMENICA DI PASQUA 

Anno B – At 4, 8-12; 1Gv 3, 1-2; Gv 10, 11-18 

UN PASTORE PER RITROVARE SE STESSI 

Giancarlo Bruni O.S.M., in Buona cosa è il sale, ed. Servitium ed. a Cura del Priorato di Sant’Egidio – Sotto il Monte (BG) pag. 79-82; 4.a Domenica di Pasqua – Anno B 

1. L’immagine del pastore è ampiamente usata  nelle Scritture di Israele a indicare a volte Dio (cf.  Salmo 23; Isaia 40, 11; Geremia 31, 9), a volte il re  messianico (cf. Salmo 78, 70-72; Ezechiele 37, 24) e a volte i responsabili del popolo (cf. Geremia 2, 8;  10, 21; 23, 1-8; Ezechiele 34). E sempre in termini di  guida e di protezione. Immagine che Gesù nel  Vangelo di Giovanni applica a se stesso: «Io sono il  buon pastore» o «Io sono il pastore bello» (Giovanni 10, 11), tale proprio perché buono. Biblicamente  una persona è bella quando coincide con la propria  profonda verità, il cuore buono tradotto in gesti di  bene; e, di tale bellezza-bontà, Gesù è l’archetipo,  egli l’«io sono il pane della vita» (Giovanni 6, 35), la  luce del mondo (cf. Giovanni 8, 12), la porta (cf.  Giovanni 10,7), la risurrezione e la vita (cf. Giovanni 11, 25), la via, la verità e la vita (cf. Giovanni 14, 6),  la vite (cf. Giovanni 15, 5), il re (cf. Giovanni 18, 37)  e ancora «il Primo e l’Ultimo e il Vivente»  (Apocalisse 1, 8.17). 

La verità di Gesù sta nel suo essere l’Io sono nel  quale il Padre si è reso presente e manifestato come  l’Io sono amore per l’uomo: pane, luce e vita alle sue  molteplici fami, oscurità e morti, via d’uscita e porta  aperta alle sue prigioni, ai suoi orizzonti chiusi.  Pastore dice tutto questo, la sconfinata compassione di Dio in Gesù nei confronti di pecore  allo sbando (cf. Marco 6, 34), senza radici-senza  orientamento-senza approdi, cercate una a una e  poste da Gesù sulle proprie spalle, patria agli  smarriti ritrovati (cf. Luca 15, 3-7). 

2. L’evangelista Giovanni, da parte sua, ama  soffermarsi sulla descrizione del rapporto pastore pecore, a significare la relazione del Gesù terreno prima e del Gesù risorto poi con i suoi e con ogni  creatura: «E ho altre pecore che non provengono da  questo recinto: anche quelle io devo guidare»  (Giovanni 10,16). Rapporto espresso dal  vocabolario del “conoscere” e del “dare la vita”,  l’alfabeto della relazione bella e buona.       

Leggiamo: «Io sono il buon pastore, conosco le mie  pecore e le mie pecore conoscono me» (Giovanni 10,  14; cf. 10, 4); «Io sono venuto perché abbiano la vita  e l’abbiano in abbondanza» (Giovanni 10, 10); «Il buon pastore dà la propria vita per le pecore»  (Giovanni 10, 11.15). Ma che significa “conoscere  l’altro”? Significa vederlo, chiamarlo per nome,  essergli guida, fargli attraversare la porta dei  pascoli della vita, proteggerlo, varcare mari e monti  per fare dell’amico perduto un amico ritrovato, fino  a dargli la propria vita stessa. 

Questo è il conoscere di Gesù (cf. Giovanni 10, 1- 3.9. 11-13; Luca 15, 4-7): declinare la relazione con  l’altro alla luce di una compassione i cui passaggi  concreti, ridetto altrimenti, sono “elezione”: «Io ho  scelto voi» (Giovanni 15, 16), solo chi ha occhi di  amore sa vedere ed eleggere l’altro (cf. Luca 10, 33);  “preziosità”, ciascuno ha ed è il proprio nome e  conoscere qualcuno comporta il rispetto della sua  irripetibile unicità e alterità; “comunione”: «Un solo  gregge, un solo pastore» (Giovanni 10, 16) nella  conoscenza reciproca (cf. Giovanni 10, 14) e nella  libertà (cf. Giovanni 10, 17-18). E ancora  “illuminazione”: «Vi ho chiamati amici, perché tutto  ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a  voi» (Giovanni 15,15), e ciò che Gesù ha udito è  riassumibile nella espressione: «Vita in abbondanza». Gesù sa ciò di cui l’uomo ha  veramente bisogno: di una relazione bella e buona  che lo dischiuda alla conoscenza profonda di sé e  che lo faccia sbocciare a un’esistenza bella e buona,  aperta a inediti futuri, aspetti inscindibili. Per  questo è venuto, per essere nel villaggio umano l’«io  sono la porta» (Giovanni 10, 7) che introduce alla  conoscenza dell’amore esagerato del Padre, fonte  prima da cui scaturisce la conoscenza di sé come  amati, inviati ad amare in termini assolutamente  esagerati. Quelli di Dio, visti in Gesù: «Nessuno ha  un amore più grande di questo: dare la sua vita per i  propri amici» (Giovanni 15, 13), e per il Padre di  Gesù tutti lo sono. 

In questa prospettiva la “conoscenza” non è esaurita  dal sapere filosofico, scientifico o teistico, ma  attinge l’ambito esperienziale, homo sapiens è  l’iniziato a conoscere se stesso in termini di amato,  in forma bella e buona, dal Pastore bello-buono, è  l’iniziato a conoscere l’altro come soggetto prezioso  che ci attende come inviati ad adempiere nei suoi  confronti il mandato e il debito dell’amore. A questo  pascolo di giorni nella bellezza guida il Pastore, un  aldiquà il cui aldilà si chiama compimento del già  iniziato. 

3. «Eravate erranti come pecore, ma ora siete  stati ricondotti al pastore e al custode delle vostre  anime» (1Pietro 2, 25), un pastore simultaneamente  agnello: «L’agnello […] sarà il loro pastore e li  guiderà alle sorgenti delle acque della vita»  (Apocalisse 7, 17).  

L’uomo, domanda a se stesso e mendicante alla  ricerca della propria verità, costitutivamente  errante da un altro da sé che lo ha custodito e  amato fino al dono di sé, costitutivamente agnello, è  guidato e fatto risalire, costitutivamente pastore, al  suo “in principio” restituito al suo mistero. La  sorgente prima da cui ciascuno trae vita è l’atto di  fede, di speranza e di amore del Dio di Gesù verso  ognuno; l’acqua seconda che dischiude a giorni luminosi in una vita bella perché buona è l’amore  con il quale il Padre ci ha amati in Cristo; la  sorgente ultima da cui ciascuno trae vita eterna, che  nel Risorto si dichiara triste senza la mai conclusa  compagnia dell’uomo. Che paradiso è senza l’uomo?  Gesù è un pastore davvero unico nel suo inoltrarci  nei pascoli ineffabili della nostra origine – generati  dall’amore -, del nostro compito – inviati ad amare -,  del nostro approdo – attesi dall’amore -.

Giancarlo Bruni, (1938) appartiene all’Ordine dei Servi di Maria e nello stesso tempo è monaco della Comunità ecumenica di Bose.

Risiede un po’ a Bose e un po’ all’eremo di San Pietro alle Stinche (FI).