II Domenica del Tempo Ordinario 

Anno C – Isaia 62, 1-5; 1Corinzi 12, 4-11; Giovanni 2, 1-12 

IL VINO MIGLIORE: DONO NUZIALE DELLO SPOSO 

Giancarlo Bruni O.S.M., in Il suonatore di flauto, ed. Servitium ed. a Cura del Priorato di Sant’Egidio – Sotto il Monte  (BG) pag. 101-103; 2.a del Tempo Ordinario, Anno C 

1. Colui che all’Epifania si è manifestato  alle genti e nel battesimo del Giordano a Israele,  ora, alle nozze di Cana, si manifesta ai suoi  discepoli: «Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio  dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la  sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui».  Segno compiuto «tre giorni dopo» i quattro che  li precedono (Giovanni 1, 28.29.35.43), vale a  dire il “settimo giorno” che conclude la  settimana iniziale di Gesù, culminata nella sua  manifestazione a Cana, rievocazione della  settimana iniziale della creazione, culminata nel  settimo giorno, il giorno del vino. 

2. Siamo a una festa di nozze, dove viene a  mancare il vino. Questo il fatto che spinge la  madre di Gesù a dire a Gesù: «Non hanno più  vino», e Gesù a sua madre: «Donna, che vuoi da  me?», e sua madre ai servitori: «Qualsiasi cosa  vi dica, fatela», e Gesù trasforma l’acqua in  vino buono. Questo era ciò che voleva sua  madre, in sintonia con Gesù, nel sapere che alla  tavola dell’uomo può venire a mancare il vino  dell’allegrezza, nel sapere che solo la parola di  Gesù può trasformare la tristezza in esultanza e nel sapere che là ove c’è bisogno, lì è sempre  ora di intervento. 

È vero, «non è ancora giunta la mia ora» il momento, cioè, della croce come piena  manifestazione della ragione per cui Gesù è  venuto, ma, ove incombe il pericolo, tale  ragione è sempre comunque spendibile come  segno anticipatore di quell’amore che là avrà la  sua definitiva epifania ed esegesi. «E fu l’inizio  dei segni», frase che rievoca il “fu” della prima  creazione, sottintendendo che è in atto una  nuova creazione, l’ultima fase della storia  caratterizzata da giorni nel vino. 

Cana ne è il segno e a Cana viene manifestata la  gloria del portatore del segno. 

Tutto è in funzione della rivelazione della  “gloria” di Gesù, vale a dire della sua splendida  verità di sposo messianico della chiesa, di  venuto alla tavola della vita carente del vino  della gioia a portarlo quale suo dono nuziale, e  tale vino, detto in estrema sintesi, è la  rivelazione del Padre come passione d’amore  incondizionata per l’uomo, rivelazione che, ove  accolta, dà inizio a un modo di essere  radicalmente nuovo, il regime di una filialità,  fraternità e speranza di futuro oltre ogni  immaginazione, così come lo è la contentezza  che ne scaturisce. Da questo vino non in  vendita, assolutamente gratuito, dipende la gioia  dell’uomo, e nel Cristo, nella sua parola, nei  suoi gesti, nella sua croce, il Padre diventa  commensale della tristezza dell’uomo, dovuta  all’ignoranza del suo vero Sé, dischiudendolo  alla conoscenza di sé come figlio amato senza  misura e senza merito, non più «città  abbandonata» e «terra devastata», «ma sarai  chiamata mia gioia e la tua terra sposata» (Isaia 62, 4). Vino che arreca gioia è l’essere amati  così da un Dio così, in uno Sposo così. Gioia  che niente e nessuno può rapire. 

3. «I suoi discepoli credettero in lui»,  contemplandone la gloria di sposo venuto a  offrire un calice di vino costantemente buono,  non artefatto, la bontà di un Dio felice di  rendere felici i devastati, gli abbandonati, i  falliti, in breve, i senza vino nella vita, nel  matrimonio e no. E questo in Cristo nel quale  l’acqua, la cosa buona del Dio delle Scritture di  Israele, diventa vino, la cosa buona del Dio di  Israele compiutamente svelato in lui.

Giancarlo Bruni, (1938) appartiene all’Ordine dei Servi di Maria e nello stesso tempo è monaco della Comunità ecumenica di Bose.

Risiede un po’ a Bose e un po’ all’eremo di San Pietro alle Stinche (FI).