Battesimo del Signore 

Anno C – Isaia 40, 1-5.9-11; Tito 2, 11-14; 3,4-7; Luca 3, 15-16.21-22 

DONO DI UN NOME E DI UN COMPITO 

Giancarlo Bruni O.S.M., in Il suonatore di flauto, ed. Servitium ed. a Cura del Priorato di Sant’Egidio – Sotto il Monte  (BG) pag. 39-41; Battesimo del Signore, Anno C 

1. «La grazia, la bontà e l’amore di Dio» (Tito 2, 11; 3, 4) oggi, attraverso la lettura, ci  conducono sulle rive del Giordano a ricevere «una  pietruzza bianca, sulla quale sta scritto un nome  nuovo» (Apocalisse 2, 17), quello di Gesù e  nostro. Ciò che accadde “allora” è pertanto di  decisiva importanza “ora” per i mendicanti del  proprio nome, della propria segreta verità  contemplata in quella del Signore Gesù. 

«Есcо» (Luca 3, 21) che cosa avvenne e  avviene. 

2. «Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava  in preghiera». La narrazione lucana sembra  sorvolare sul battesimo di acqua di Gesù più  preoccupata di quello che segue, ma non può non  accennarne perché ne è la premessa indispensabile.  L’immersione nelle acque di Gesù sottolinea  infatti la sua solidale condivisione con la  condizione umana né bella né buona; l’innocente  (Giovanni 1, 36; 2Corinzi 5, 21) si inabissa in  questo mare cupo e minaccioso e al contempo  desideroso di diversità (Luca 3, 3), lo assume e lo  apre al solo da cui proviene ogni riscatto: «Stava  in preghiera». 

Il segreto di Gesù comincia a dipanarsi: il suo  nome è “ricapitolazione” e “immedesimazione” con l’uomo distante dal sogno originario e mai  venuto meno di Dio su di lui: «Cosa molto buona molto bella» (Genesi 1, 31); è “riassunto” del  desiderio umano di uscire fuori da tale situazione  ed è “conversione in preghiera” di questa  nostalgia, liberandola dal chiuso del ripiegamento  su di sé per orientarla verso l’alto. 

Questo dice la sosta orante di Gesù, tratto  tipicamente lucano: uno stare fermi, quasi sospesi,  nell’attesa fiduciosa del manifestarsi di un Padre  che non tarda: «Il cielo si aprì». Pregare è salire e bussare al cielo; aprire è il discendere e il farsi  presente del cielo in questo caso in due momenti e  forme, quelli dello Spirito e della “voce” che  portano a compimento la rivelazione del nome di  quell’uomo molto solidale con il povero mondo:  «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio  compiacimento». In te, l’inviato ad essere la mia  vicinanza a un mondo distante da me. 

È il Padre a dare personalmente il nome a  Gesù, a definirlo alla luce di un variegato  retroterra biblico: «Tu sei» l’“oggi ti ho generato a  Figlio-messia” (Salmo 2, 7) “amato” (Genesi 22,  2.12.16) e «inviato a essere buona notizia ai poveri  della terra» nella forma mite e umile del «servo di  JHWH, un “Tu” nel quale ho posto la mia  compiacenza» (Isaia 42, 1). Un “Tu” sul quale,  simile a colomba che plana sulla nidiata, scende lo  Spirito, rimando al suo aleggiare sul caos  primordiale per farlo emergere a ordine (Genesi 1,  2), che lo spingerà ad essere la buona notizia di  Dio ai poveri aprendo un nuovo giorno storico  (Luca 4, 18). Figlio reso idoneo nello Spirito a adempiere il compito messianico. 

3. Ecco che cosa accadde sulle rive del  Giordano e che accade nel qui e ora della lettura.  Oggi veniamo iniziati alla conoscenza del nome e  del compito di Gesù, e in lui del nostro. Come lui  figli amati, inviati alla terra, non privandola di  quella passione che il Padre continua a riversare su  di noi, disgraziati tra disgraziati. Battesimo che  altro è se non immersione nell’oceano dell’amore  del Padre che nel Figlio fa grazia e nello Spirito  apre alla comunione (2Corinzi 13, 13), iniziandoci  a un nome e a un compito assolutamente  inimmaginabili in cui sta la nostra segreta verità?  Figli amati al povero buona notizia.

Giancarlo Bruni, (1938) appartiene all’Ordine dei Servi di Maria e nello stesso tempo è monaco della Comunità ecumenica di Bose.

Risiede un po’ a Bose e un po’ all’eremo di San Pietro alle Stinche (FI).