GUARDARSI DALL’AMORE DEL DENARO 

Giancarlo Bruni O.S.M., in Il suonatore di flauto, ed. Servitium ed. a Cura del Priorato di Sant’Egidio – Sotto il Monte  (BG) pag. 148-150; 18.a del Tempo Ordinario, Anno C 

  1. Il rapporto uomo-beni è da sempre al centro  della riflessione umana, e il capitolo «Del retto uso  delle ricchezze» accompagna sin dal principio  l’esperienza ebraica e cristiana registrata nelle  Scritture. Denaro di volta in volta demonizzato,  divinizzato, assolutizzato o semplicemente  considerato come strumento, sempre tale comunque  da costituire un problema. 
    È il caso del fratello minore della parabola che  domanda a Gesù di intervenire presso il fratello  maggiore in vista di una equa ripartizione dell’eredità.  Si usava ricorrere ai rabbini anche per questioni  giuridiche in considerazione della loro imparzialità,  ma Gesù ritiene di non avere autorità ufficiale a  proposito: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o  mediatore sopra di voi?» (Luca 12,14), e comunque il  suo compito non si pone nella prospettiva giuridica di  solutore di casi, ma nell’orizzonte profetico-sapien ziale di invito ad andare e a rimandare al cuore delle  questioni, per trarne una saggezza di fondo in grado di  discernere e di risolvere bene questioni concrete che si  pongono. Per questo Gesù si sottrae alla richiesta  specifica di «uno della folla» (Luca 12,13) e si rivolge  alla folla chiedendole “attenzione” (Luca 12,15),  invitandola a guardarsi dentro e a chiedersi come il  cuore legge i beni. Da questo dipende il resto,  comprese le spartizioni ereditarie. E quel fratello  minore e quella folla siamo noi, e quel «fate  attenzione» è rivolto a noi. 
  1. Attenzione a che cosa? Innanzitutto, e in  questo sta il primo insegnamento, al «tenersi lontano  da ogni cupidigia» (Luca 12,15). Il termine  «cupidigia» significa avidità di avere sempre di più in  nome dell’«amore del denaro, radice di tutti i mali»  (1Timoteo 6,10), compresa l’“avarizia” perché non  può privarsi di ciò che ha colui che vuole sempre di  più. Questa caduta nelle mani della «ricchezza iniqua»  (“mammona”, Luca 16,13) è discesa nella «idolatria»  (Colossesi 3,6), è lettura del denaro come fonte della  propria identità: «Ho, dunque sono», del proprio  potere: «Ho, dunque posso» e della propria sicurezza e  felicità: «Ho, dunque riposati, mangia, bevi e  divertiti» (Luca 12,19).
    Una sorta di delirio di onnipotenza, da immaginare di potere esorcizzare persino la morte,  dinanzi al quale l’esortazione sapienziale di Gesù è  lapidaria: «Tenetevi lontani» da questo modo di  pensare e di vivere. Per una semplice ragione, e in  questo sta il secondo insegnamento, che «anche se  uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende da ciò  che egli possiede» (Luca 12,15).
    Quello di Gesù è un invito a una guarigione da  una malattia, e tale lo è il credere nel denaro come  articolo fondativo e orientativo dell’essere e  dell’esistere ossessionati dalla capitalizzazione per sé,  dall’aggettivo possessivo “mio” come lo “stolto” (Luca 12,20) della parabola: i miei magazzini, i miei  beni, la mia anima, i miei anni e tutto al molteplice  (Luca 12,16-19). Malattia che non dà garanzie di  sicurezza a motivo di ladri e di speculatori dai molti  nomi (Luca 12,33), e a causa della carovana dei poveri  che bussano alla porta dell’io murato e dei capitali  murati generando inquietudine. Malattia che  impedisce la gioia di relazioni nella gratuità, non  unicamente mutuate dall’utile, e che non apre futuro.  Non c’è posto nel mondo di Dio per l’io che fa di sé e  dell’avere il proprio “dio”. 
  1. Gesù, maestro di sapienza, che ha a cuore il  bene presente e futuro dell’uomo, mette in guardia dai  falsi miti: «Fate attenzione», «dov’è il vostro tesoro,  là sarà anche il vostro cuore» (Luca 12,34), o Dio o  mammona (Luca 16,31). Se è il Dio di Gesù, sarà  iniziato a un approccio ai beni non secondo la logica  della perversione dell’accumulo per sé, ma secondo la  logica del dono. I beni uguale a dono frutto di una  laboriosità onesta e creativa, a dono di cui ringraziare, a dono da usare con misurata sobrietà e a dono da  condividere, a partire dai più bisognosi. Per  un’economia personale e collettiva dal volto umano,  espressione di una relazione d’alleanza. Questo fare  del bene con i beni, e non solo materiali, è «arricchire  presso Dio» (Luca 12,21), è accumulare un tesoro che  non solo da senso al vivere quotidiano ma apre le  porte del cielo (Luca 12,33; 16,9; 18,22). L’uomo  della condivisione è eterno.

Giancarlo Bruni, (1938) appartiene all’Ordine dei Servi di Maria e nello stesso tempo è monaco della Comunità ecumenica di Bose.

Risiede un po’ a Bose e un po’ all’eremo di San Pietro alle Stinche (FI).