XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Anno B – Isaia 35, 4-7a; Giacomo 2, 1-5; Marco 7, 31-37
L’UOMO RESTITUITO ALLA SUA PATRIA: L’UDITO
Giancarlo Bruni O.S.M., in Buona cosa è il sale, ed. Servitium ed. a Cura del Priorato di Sant’Egidio – Sotto il Monte (BG) pag. 171-173; 23.a Domenica del T.O. – Anno B
1. «E Dio vide che era cosa bella-buona»: questo il ritornello che ritma il racconto biblico della creazione, a voler dire che all’apparire della luce, dei cieli, della terra, dei mari e dell’uomo Dio esplode di gioia. Tutto questo nasce da una volontà di bene che origina un mondo nell’ordine e nella bellezza. «E Dio vide che non era cosa bella-buona»: questo raccontano la sordità, il mutismo, la cecità, la morte e il cuore impuro da cui nasce il gesto che tutto contamina, e lo è sempre quello contro l’uomo e contro il creato. Un vedere che in Gesù si fa discesa nel non buono-non bello per restituire l’uomo alla sua integrità, questo narrano i miracoli segno della irruzione della compassione di un Dio che si fa vicino come radicale disponibilità a ridare forma all’uomo carente nel corpo, nella psiche e nel cuore. Vicino nel suo Messia, miracoli dunque come segno a testimonianza della messianicità di Gesù (cf. Matteo 8, 4), e al contempo evocazione di un futuro in cui alla malattia ultima e decisiva che è la morte sarà data come risposta ultima e decisiva la risurrezione, il segno di Giona.
2. E in questa ottica che va letta la guarigione del sordomuto. Dio viene in Gesù come “apriti”, come non arreso a ciò che rende quell’uomo prigioniero del suo male, e Gesù è consapevolezza di questo suo essere da Dio, Epifania della sua forza e della sua tenerezza a vantaggio, nel Vangelo di oggi, di un sordo balbuziente. Una coscienza resa evidente dal suo guardare verso il cielo, dal suo sospirare che evoca il gemere di Dio dinanzi al gemito della creazione nel dolore e il suo dire: Effatà, cioè, “apriti” (Marco 7, 34).
E altri spiragli si affacciano sul modo di stare di Dio in Cristo dinanzi all’uomo incompiuto: «Lo prese in disparte, lontano dalla folla» (Marco 7, 33). Ogni malato è un tu unico e irripetibile, non un caso o un numero anonimo perduto nella massa, Dio in Gesù ne conosce il nome e si rapporta a lui volto a volto per renderlo cosciente di chi e di che cosa egli è per lui. Aspetto già sottolineato nel caso della emorroissa (cf. Marco 5, 30-34). E ancora: «Gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua» (Marco 7,33). Una terapia in uso, ma qui ad annunciare che Dio nel suo inviato è un Dio che si prende cura con tutte le sue viscere, con tutta la sua parola e con tutto il suo corpo. In maniera che l’incontrato veda, ascolti e tocchi con mano un amore che si fa presenza, parola e abbraccio (cf. Marco 1, 25; 2, 11; 7, 29; 10, 52).
3. Un toccare sempre presente quando si tratta di guarigioni di sordi, di muti e di ciechi (cf. Marco 8, 23), malattie cariche di simbolismo nel giudaismo. L’orecchio è la patria dell’uomo, è la parola di Dio, infatti, a rendere veggenti e dotati di una «lingua da discepoli capaci di indirizzare una parola allo sfiduciato» (Isaia 50, 4). Ed è in questa ottica che va compreso il miracolo operato da Gesù, diversamente si rimane ancorati a un’intelligenza parziale di esso. Con la folla si può esclamare nello stupore: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti » (Marco 7, 37), e, d’altra parte, con la medesima folla, senza uscire dall’anonimato gregariato di chi cerca solo benefici, si rischia di non pervenire all’incontro facciale con il tu di Cristo, che vuole fare dell’uomo sordo, cieco e muto un discepolo capace di un ascolto che apre gli occhi sul mistero di Gesù come l’“in principio” di una nuova aurora del mondo in cammino verso il suo compimento, il suo punto omega, il regno di Dio.
Guarito è l’orecchio che ode questo, guarita è la bocca che narra questo, diversamente è meglio tacere (cf. Marco 7, 36); luminosa è la vita che narra questo, traduzione del sospiro appassionato di Dio in Cristo su un mondo che ha orecchi, occhi e bocca, ma non sa ascoltare, vedere e raccontare ciò che veramente giova al suo bene. Nella lucida consapevolezza che si può essere sordi, muti e ciechi fisiologicamente e altamente veggenti e eloquenti se il nostro cuore diventa dimora della parola che restituisce ciascuno alla propria verità: generare un mondo nuovo seminando la forte tenerezza di Dio contemplata in Cristo.
Giancarlo Bruni, (1938) appartiene all’Ordine dei Servi di Maria e nello stesso tempo è monaco della Comunità ecumenica di Bose.
Risiede un po’ a Bose e un po’ all’eremo di San Pietro alle Stinche (FI).