Battesimo del Signore
Anno B – Is 55, 1-11; 1Gv 5, 1-9; Mc 1, 7-11
ALLA SCOPERTA DI GESÙ
Giancarlo Bruni O.S.M., in Buona cosa è il sale, ed. Servitium ed. a Cura del Priorato di Sant’Egidio – Sotto il Monte (BG) pag. 40-42; Battesimo del Signore, Anno B
- Il viaggio in compagnia di Marco è alla scoperta del segreto di un Tu di nome Gesù e del suo significato per l’uomo, un viaggio le cui tappe sono scandite dall’ascolto domenicale di quanto l’evangelista ci racconta di lui. Oggi siamo condotti nel deserto, i nostri occhi attraverso l’icona vedono Gesù battezzato da Giovanni il Battista e il nostro udito è iniziato a comprenderne, per quanto è dato, il senso attraverso la lettura-ascolto. Due personaggi singolari, di cui uno è anticipazione dell’altro: Giovanni è nel deserto (cf. Marco 1, 3), predica conversione (cf. Marco 1, 4) e conclude il suo giorno da innocente messo in prigione e ucciso (cf. Marco 6, 17-29), profezia di Gesù nel deserto (cf. Marco 1, 13), della sua esortazione alla conversione (cf. Marco 1, 14-15) e della sua sorte finale. Due personaggi singolari di cui l’uno, Giovanni, proclama l’altro, Gesù, «più forte» di lui (cf. Marco 1, 7), una differenza posta in luce dalla diversità dei battesimi: quello del Battista è in vista di una purificazione provvisoria e in preparazione di quello di Gesù, il risorto nello Spirito.
Una immersione nel dono ultimo e perfetto di Dio, escatologico appunto, da cui dipende in maniera ultima e perfetta, decisiva quindi, la vita dell’uomo. E lo Spirito dato dal Padre per mezzo di Gesù a dischiudere l’uomo a una ultimativa conoscenza della propria verità e di quella di Dio. Per ora ci basti sottolineare ciò che interessa a Marco: dire ai suoi uditori che Gesù, in ragione del suo essere il datore dello Spirito, è più forte del Battista, infatti, , solo il Figlio di Dio o Messia è in grado di battezzare nello Spirito.
È quanto l’evangelista dice immediatamente nei versetti successivi.
- Marco 1, 9 accenna in maniera scarna al fatto che «in quei giorni, Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni». L’evangelista intenzionalmente puntualizza che l’entrata in scena di Gesù, il suo primo gesto, consiste in un atto di solidarietà e di comunione con la carovana dei peccatori, ne condivide il desiderio di purificazione e di conversione immergendosi con essi in acque, metafora di nuova nascita: l’annegamento dell’uomo vecchio e l’emersione dell’uomo nuovo.
Il più forte di Giovanni, della profezia cioè, è l’innocente senza peccato compagnia ai peccatori. Tratto di non poco conto che Marco, fedele al suo stile, si limita a registrare senza commentare. Al battesimo succede la teofania: «E subito, uscendo dall’acqua; vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”» (Marco 1, 10-11). L’amico dei peccatori, che viene da un villaggio insignificante, mai nominato nel Testamento antico, Nazaret, è uno sconosciuto iniziato, lui solo, a una visione: vede Dio manifestarsi a lui, lo squarciarsi dei cieli, e ode la voce che lo proclama Figlio unico, amato in maniera unica (cf. Salmo 2, 7), oggetto del compiacimento di Dio in maniera unica (cf. Isaia 42, 1).
È in lui che Dio inizierà una nuova creazione, nata da acqua e da Spirito, una cosa nuova fondata su un rapporto di alleanza Dio-umanità. A questo può alludere l’immagine dello Spirito che scende in picchiata verso Gesù in forma di colomba (cf. Genesi 1, 2; 8, 8-12) a dar forma all’uomo nuovo secondo l’ordine di Dio, l’amato che apre la strada a una storia nell’amore. Il viaggio verso la scoperta di Gesù si arricchisce di nuovi dati: questo sconosciuto solidale con la deriva del mondo è un essere in relazione del tutto particolare con Dio, un caso unico.
Di questo Gesù ne è consapevole e i suoi ne devono essere avvertiti, prendendo le opportune distanze dalla ideologia dominante che riteneva l’imperatore il figlio di Dio, dato quale buona notizia ai sudditi dell’impero. Non è da escludersi una intenzionalità anche di questo tipo nella definizione di Gesù quale figlio unico di Dio.
- A conclusione non mi sembra fuori luogo notare ancora una volta la singolare paradossalità di Marco nel suo ricordare ai discepoli di ieri e di oggi che il Figlio amato, l’uomo che si distingue da tutti per il suo assolutamente unico rapporto con il Padre, è uno sconosciuto, proveniente da un villaggio ignoto e malfamato, che non vivrà la sua filialità nei recinti del sacro o nei palazzi dei potenti, ma nella compagnia dei peccatori con i quali solidarizza e ai quali si identifica. A chi proclama Gesù Figlio di Dio non deve essere sottaciuto il modo in cui tale filialità concretamente si traduce, e che cosa essa significhi per i battezzati di ogni luogo e tempo. Il leggere se stessi e l’uomo come anonimi noti a Dio, come peccatori incontrati dalla presenza amica di un Dio che proclama noi e l’uomo come figli amati ciascuno in maniera unica. Buone notizie contemplate in quel Figlio, non nei potenti di questa terra. Cose rivelate ai battezzati immersi nell’amore del Padre, la voce, nella grazia del Figlio, l’unico e l’amato, nella comunione dello Spirito, la colomba, che ci costituisce dimora di un Tu attraverso cui egli continua a liberare l’uomo dall’anonimato, dall’essere disprezzato perché peccatore e dalla non conoscenza di sé come figlio amato.