III DOMENICA DI QUARESIMA 

Anno B – Es 20, 1-17; 1 Cor 1, 22-25; Gv 2, 13-25 

DAL TEMPIO DI PIETRA AL TEMPIO DI CARNE 

Giancarlo Bruni O.S.M., in Buona cosa è il sale, ed. Servitium ed. a Cura del Priorato di Sant’Egidio – Sotto il Monte  (BG) pag. 52-55; 3.a Domenica di Quaresima – Anno B 

1. Il tempo di quaresima iniziato nel deserto  della prova – la vita ha un senso o no – e proseguito  sul monte della trasfigurazione – il senso della vita  si è fatto parola e volto in un tu di nome Gesù –, oggi fa tappa a Gerusalemme, nel tempio. Osserviamo  attentamente lo svolgimento dei fatti. Gesù entra  nel cortile dei gentili e vi trova la seguente  situazione: «Gente che vendeva buoi, pecore e  colombe e…i cambiamonete» (Giovanni 2,14). I primi vendevano animali per il sacrificio – il particolare dei buoi e delle pecore è proprio a  Giovanni – e i secondi, dietro un minimo compenso,  scambiavano la moneta romana, non spendibile per  le cose del tempio a motivo del suo contenere  l’effigie dell’imperatore con la scritta che lo  proclamava divino, con la moneta ufficiale di Tito.  Alla costatazione della situazione segue la reazione  da parte di Gesù: il farsi una frusta di cordicelle, lo  scacciare i mercanti, il gettare per terra il denaro e  il rovesciare i banchi dei cambiamonete (cf.  Giovanni 2, 15). Al gesto segue la motivazione:  «Portate via di qui tutte queste cose e non fate della  casa del Padre mio un mercato» (Giovanni 2, 16).  Motivazione che qualifica il gesto come atto  profetico, in sintonia con Geremia che lamenta che  la casa di Dio sia ridotta a una spelonca di ladri (cf.  Geremia 7, 11) e con la scrittura di Zaccaria: «In  quel giorno non vi saranno più commercianti nella  casa del Signore delle schiere» (Zaccaria 14, 21).  Atto profetico che i discepoli rileggeranno come  generato da uno zelo che costantemente ha divorato  Gesù (cf. Giovanni 2, 17; Salmo 69, 10) e che finirà  per farlo divorare: la passione per Dio suo Padre,  per la casa di suo Padre, per le cose di suo Padre.  Gesto che in Gesù ha una connotazione unica a  motivo della sua relazione unica con il Padre, è il  gesto di un Figlio lucidamente consapevole che non  si danno istituzioni religiose esenti dal grande  rischio di tramutarsi in comitato di affari. Tocca alla  profezia ricordare che ogni tempio di ogni luogo può divenire in nome del denaro prigione e  sfruttamento del divino e non luogo di possibile  incontro con il divino. Di questo tempio non rimarrà  pietra su pietra, il futuro non gli appartiene. 

2. L’interpretazione profetica e filiale del gesto di  Gesù non esaurisce la gamma dei significati ad esso  connessi. A questo introduce la seconda parte della  pericope giovannea che inizia con una domanda dei  giudei, prosegue con la risposta di Gesù e si  conclude con un singolare accenno ai discepoli  quale memoria storica dell’evento. La domanda è:  «Quale segno ci mostri per fare queste cose?»  (Giovanni 2, 18). Il gesto della purificazione del  tempio (cf. Malachia 3, 1s) è tale da esigere una  controprova in grado di rendere ragione alla vera  domanda: con quale autorità hai fatto questo? Gesù  non si sottrae alla risposta: «Distruggete questo  tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Giovanni 2, 19), ma, in stile tipicamente giovanneo, la pone su  un piano completamente diverso da quello dei suoi  interlocutori. Quest’ultimi intendevano il tempio di  pietra, Gesù il «tempio del suo corpo» (Giovanni 2, 21).  

E nuovi scenari si aprono, il purificatore del  tempio è il tempio stesso di Dio non fatto da mano  d’uomo. Il corpo di Gesù è la dimora del Padre, è il luogo attraverso cui il Padre si fa compagnia umana  rendendosi udibile e visibile, è il luogo attraverso  cui l’uomo incontra Dio e da cui sale al Padre l’unico  sacrificio gradito: il dono libero, amante e  incondizionato di sé che purifica l’uomo da ogni suo  male. Solo l’amore rende casti e capaci di amare. In  Gesù viene dichiarata conclusa l’era dei sacrifici,  l’uomo non sacrifichi l’uomo per nessuna ragione,  tantomeno religiosa; e neppure sacrifichi gli  animali, non a caso vengono cacciati buoi e pecore  dal tempio del loro sacrificio. Dio in Gesù si  racconta come dedizione fino alla morte, questo il  Dio che merita resurrezione; Dio in Gesù racconta l’uomo a sua immagine e somiglianza, dedizione  fino alla morte, questo l’uomo che merita  risurrezione. Altra cosa sacra gradita a Dio non  esiste. 

3. «Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi  discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e  credettero» (Giovanni 2, 22). Il compito delle chiese  è posto, essere nella storia la memoria che il corpo  di Gesù è il tempio di Dio, in quella carne Dio si  rende contemporaneo all’uomo e l’uomo è posto al  cospetto di Dio. E ancora essere nella storia la  memoria che il Dio spiegato da quel corpo è  straniero a considerare l’uomo e l’animale come  oggetto di sacrificio, solo il gratuito dono di sé per il  bene dell’altro è ciò che conta. 

E infine essere nella storia la memoria che a  similitudine di Gesù-Tempio ogni corpo è costituito  tempio di Dio: «Non sapete che il vostro corpo è  tempio dello Spirito santo, che è in voi?» (1Corinzi 6, 19). Memoria, dunque, della propria corporeità  come luogo in cui il Padre per il Figlio nello Spirito  continua a fare di sé il dono di sé all’altro fino a  rimanerne distrutto. Non abbiamo altro tempio che  il corpo per rendere Dio presente all’uomo, un  corpo che vibra di premura, un corpo destinato al  terzo giorno della risurrezione. Per queste ragioni il  Gesù di Giovanni dichiarerà concluso il conflitto dei  templi di pietra (cf. Giovanni 4, 21-24). Una lezione  da ripassare costantemente.

Giancarlo Bruni, (1938) appartiene all’Ordine dei Servi di Maria e nello stesso tempo è monaco della Comunità ecumenica di Bose.

Risiede un po’ a Bose e un po’ all’eremo di San Pietro alle Stinche (FI).