XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 

Anno B – Numeri 11, 25-29; Giacomo 5, 1-6; Marco 9, 38-43.45.47-48 

LA CHIESA NON È UNA SETTA: NÉ UNICI NÉ CONTRO 

Giancarlo Bruni O.S.M., in Buona cosa è il sale, ed. Servitium ed. a Cura del Priorato di Sant’Egidio – Sotto il Monte  (BG) pag. 180-182; 26.a Domenica del T.O. – Anno B 

1. La pagina evangelica inizia con la presentazione di un caso singolare (cf. Marco 9, 38- 40): un tale che «non era dei nostri […] scacciava i  demoni nel nome» di Gesù. Giovanni e gli altri glielo  hanno vietato, o hanno cercato di impedirglielo, per  il semplice motivo che «non è con noi tra i seguaci»  di Gesù (cf. Luca 9, 49), non fa parte cioè del gruppo  che sta con lui e che lo segue. In breve, non è un  discepolo. Ciò che l’evangelista vuole sottolineare in  tutto questo è la ragione che sta alla base di un  divieto, il criterio di appartenenza al noi  discepolare. Nessuno può permettersi di operare in  forza del nome di Gesù e, per estensione, di parlare  di lui e a suo nome, se non fa chiaramente parte  della sua cerchia. Ritradotto per noi oggi, ma il  problema verosimilmente esisteva già nelle  comunità di Marco, si tratterebbe di erigere  l’istituzione chiesa, riconoscibile nella sua dottrina,  nei suoi riti e nei suoi ministeri, a criterio ultimo e  decisivo per stabilire chi è di Cristo e chi no. Lo è chi  è in essa, non lo è chi non è in essa. Una visione che  sottende che solo la chiesa ha l’esclusiva di Gesù e  solo chi appartiene visibilmente a essa ha Gesù e la  facoltà di agire in suo nome. Un modo di pensare  che coinvolge tutti nella chiesa: Giovanni il  carismatico qui espressamente nominato e Pietro  l’istituzionale. 

2. La risposta di Gesù è spiazzante: «Non glielo  proibite», e questo per la semplice ragione che lui è  il fondamento, il centro e il punto di riferimento. I  dodici, i discepoli, la chiesa sono di Cristo: «Siete di  Cristo» (Marco 9, 41), pertanto criterio decisivo per  discernere chi è con Gesù o contro di lui, e quindi  chi è della sua chiesa, non è, in ultima istanza,  l’appartenenza contabile al noi discepolare, non e  cioè il criterio ecclesiologico ma quello cristologico. 

Vi è una chiesa invisibile oltre i confini di quella  visibile, quella generata da Cristo (cf. Giovanni 12,  32), nel suo Spirito (cf. Giovanni 3, 8), un’attrazione  a estensione universale in modi, tempi e luoghi noti a lui. Il Signore della chiesa è lo stesso che spazia al  di là delle frontiere della chiesa, e il Signore che  opera nella chiesa è il medesimo che liberamente  agisce ovunque attraverso chi vuole. Ne deriva che  la chiesa visibile, che pone non se stessa ma Cristo  al centro, viene liberata dalla sempre possibile  deriva settaria, da una lettura della propria identità  in termini di esclusività e di esclusione. 

Cristo è solo qui, la chiesa è solo qui. Liberata e  felice di cogliere i passaggi del suo Signore al di là  dei suoi paletti, ad esempio, in quanti parlano bene  di lui (cf. Marco 9, 39) e operano il bene ispirati da  lui e dal suo vangelo (cf. Marco 9, 38), o ancora in  quanti si prendono cura dei suoi discepoli (cf. Marco 9, 41) e in coloro che, pur senza esplicito  riferimento a lui, vivono da responsabili del destino  degli altri, cosa talmente gradita a Cristo da definirli  giusti e da assumersi la responsabilità del loro  destino (cf. Matteo 25,31-46). 

Non sono che esempi tra altri a voler dire che  esiste una chiesa invisibile, non riducibile al suo  corpo visibile: visione che provoca a uscire dalla  logica del “solo noi” abbiamo l’esclusiva del Cristo e  della nota dell’ecclesialità. Un “solo” “contro” tutti:  il fondamentalismo inesorabilmente genera  l’avversario, incapace di pensare che chi non è  contro il vangelo e il bene è con Cristo e i suoi (cf.  Marco 9, 40), incapace di immaginare che chi è  avversario (cf. Marco 12, 34) va comunque incluso  nel proprio ambito di amore, infranta la categoria  dell’inimicizia (cf. Efesini 2, 14-16), incapace infine  di voler discernere le ragioni reali di una  contrarietà che non sempre sono nobili e  evangeliche: «Nessuno di voi abbia a soffrire come  omicida o ladro o malfattore o delatore. Ma se uno  soffre come cristiano, non arrossisca; glorifichi anzi  Dio per questo nome» (1Pietro 4, 15-16). 

3. La chiesa visibile è dunque chiamata a uscire  dalla malattia mortale dell’ecclesiocentrismo per  riporre al centro un Cristo in lei e con lei, ma non prigioniero di lei, libero di scegliersi amici dove  vuole e di dichiarare suoi amici chi vuole. E inoltre  ciascuno in comunità è provocato a focalizzare la  sua attenzione su due aspetti di radicale  importanza: da un lato, la premura a non essere di  «scandalo» ai «piccoli che credono» (Marco 9, 42), a  non tendere a essi un’insidia. Problema vivo nella  chiesa delle origini (cf. 1Corinzi 8; Romani 14, 14s),  risolvibile armonizzando conoscenza-libertà-carità:  il mio grado di sapere e il mio grado di libertà  devono sempre fare i conti con il grado di sapere e  di libertà dei più semplici in comunità, non  inciampo, ma occasione di crescita al loro cammino.  D’altro lato, ciascuno stia attento a non essere  scandalo o pietra d’inciampo a se stesso (cf. Marco 9, 43-48), valuti bene e tagli e getti via ciò che gli  impedisce l’ingresso nella “vita” e nel “regno”, in  giorni tatti passare dalla ostilità all’accoglienza  ospitale nessuno escluso. Non si tratta di  mutilazioni di ordine ascetico ma di gesti di grande  saggezza «perché ciascuno sarà salato con il fuoco  […]. Abbiate sale in voi stessi» (Marco 9, 49-50).  Bruciate con il fuoco tutto ciò che impedisce al sale  del vangelo di dare sapore e di conservare nel  sapore la vostra vita. Alleggeritevi con gioia e  decisione da ciò che impedisce alla perla preziosa e  al tesoro nascosto, che sono Cristo e la sua parola, di  rendere salato il vostro viaggio.

Giancarlo Bruni, (1938) appartiene all’Ordine dei Servi di Maria e nello stesso tempo è monaco della Comunità ecumenica di Bose.

Risiede un po’ a Bose e un po’ all’eremo di San Pietro alle Stinche (FI).