XXXI TEMPO ORDINARIO
Anno A – Mal 1,14b – 2,2b.8-10; Sal 130; 1Ts 2,7b-9.13; Mt 23,1-12 Gli SCRIBI e i FARISEI
Giovanni Vannucci, «Gli Scribi e i Farisei» 31a domenica del tempo ordinario – Anno A; in Risveglio della coscienza, 1a ed. Centro studi ecumenici Giovanni XXIII, Sotto il Monte (BG) ed. CENS, Milano 1984. Pag. 183-184.
Pëtr Demianovic Ouspensky, nel suo libro Colloqui col Diavolo, racconta che un giorno un diavolo che accompagnava Satana in un suo viaggio sulla terra, vide un uomo che lungo la strada aveva raccolto un frammento di verità. Stupito dell’indifferenza di Satana, gli domandò perché non aveva impedito all’uomo di prendere quel minuzzolo luminoso. «Non ti preoccupare,» – disse Satana – «ci penseranno gli stessi uomini, con i commenti, le deduzioni moralistiche, le traduzioni in cornici rituali, a togliere ogni efficacia alla particella di Verità trovata».
Forse è questa la dolorosa vicenda della verità sulla faccia della terra. Agli inizi c’è il grande e fertile silenzio, dal silenzio sgorga una parola, dalla parola le parole, dalle parole i libri sacri, dai libri sacri i commentari, da questi le glosse ai commenti, finché dalla babele delle parole sorge qualche spirito che rifà tutto il percorso a rovescio, fintanto che non ritrovi il primo silenzio e la prima parola e incontri il Maestro unico.
La realtà profonda dell’universo terrestre lungo il corso dei secoli è l’approfondimento del rapporto tra la coscienza umana e il mistero dell’Essere. Rapporto che non viene celebrato nel livello storico-sensoriale-razionale, ma in quello psichico. Lo spirito umano brama l’incontro con la Parola discesa nelle radici carnali del nostro essere, e non con una o più definizioni del suo mistero soprarazionale. Il fuoco ardente della Parola incarnata stimola la trasfigurazione della persona umana che, in se stessa pavida e schiava di sofismi, preferisce innalzare delle difese che la lascino tranquilla nella sua immobilità.
Gli Scribi, eccellenti archivisti delle interpretazioni, compiono un sottile lavoro per tradurle e conservarle in enunciati morali chiari e immutabili; i farisei, dediti al lavoro di sistemazioni razionali della particella di luce rivelata, la collocano in raffinate custodie di parole
cesellate, così da fermarne per sempre il vorticoso movimento (cfr. Matteo 23, 1-12).
L’autore dell’Apocalisse di Baruk ordina ai sacerdoti di lanciare verso il cielo la chiave del santuario, domandando a Dio di custodire lui stesso la sua casa non essendo loro riusciti a farlo. Il Vangelo di Tommaso dichiara infelici gli Scribi e i Farisei che simili a un cane, che si è sdraiato in una mangiatoia piena di fieno, non mangia e non permette ai buoi di mangiare.
Sarebbe un grosso abbaglio il pensiero di circoscrivere gli scribi e i farisei al solo ambiente storico di Gesù Cristo; essi sono le figure emblematiche di quella ricorrente categoria di uomini che, con le migliori intenzioni, si sentono chiamati ad addomesticare l’impeto di una parola viva affidata agli uomini. Bisogna imparare a guardarsi dagli scribi e dai farisei, le cui parole non sono la traduzione della Parola vissuta, ma giochi di parole morte. Non tutti quelli che parlano dello Spirito sono spirituali; non tutti quelli che parlano della Parola incarnata la incarnano.
Due sono le forme mentali per avvicinare il mistero divino: la sapienza del saggio e la semplicità e l’umiltà del fanciullo; al saggio è richiesto di non dire una parola in più di ciò che ha sperimentato.
Gli ebrei avevano la dottrina di Mosè che era buona, ma seguivano l’interpretazione dei farisei e degli scribi che non era buona; la tradizione creata dalla falsa scienza aveva preso il posto della vera conoscenza. L’astuzia sostituiva l’intelligenza; la tortuosità del sofisma la chiarezza della legge; il raggiro prendeva il posto del diritto, tutto condito poi con l’olio dell’ipocrisia e il vino della concupiscenza; l’apparenza della virtù e della giustizia in luogo della virtù e della giustizia; il pagamento delle decime al posto della cura verso l’orfano e la vedova. Le abluzioni rituali potevano sostituire la giustizia non resa; l’offerta al tempio poteva esimere dall’aver cura dei propri genitori.
Tutto può essere sovvertito con il sofisma astuto, con l’abile gioco di una logica apparente, con la scaltrezza del cavillo sottile; tutto, anche il Vangelo di Gesù Cristo, la parola dello Spirito, la Verità di Dio!
Quando la Parola non viene chiusa dalle trappole accomodanti costruite dalla pigra mente umana, e scende libera in cuori aperti e vivi, intraprende un soliloquio con essi, il cui frutto è l’avvicinamento, senza mediatori, dell’uomo che vive nel tempo e l’eternità che ne è fuori. La Verità eterna diventa esperienza e constatazione, e il suo annuncio è liberazione.