UOMO, DOVE SEI? 

Giancarlo Bruni O.S.M., in Buona cosa è il sale, ed. Servitium ed. a Cura del Priorato di Sant’Egidio – Sotto il Monte (BG) pag. 83-85; 5.a Domenica di Pasqua – Anno B 

1. «Uomo, dove sei?» (Genesi 3, 9). In quali  pensieri, in quali sentimenti, in quali comportamenti sei? E da dove li assumi? Decisiva  per ciascuno e per ciascuna società è la domanda  della collocazione, essa è il luogo da cui guardiamo e  leggiamo la realtà, nostra e del mondo. Domanda soggetta a molteplici risposte sia di tipo personale  che collettivo, e il cristiano non è esente né dalla  domanda né dall’abitare un mondo estremamente  variegato a proposito delle motivazioni fondative  dell’esistere, semplicemente è provocato ogni  giorno di più a uscire dal vago e a rendere conto a  se stesso, alle chiese e a ogni uomo della speranza  che è in lui (cf. 1Pietro 3, 15). Speranza il cui nome è  detto con estrema chiarezza nel capitolo 15 (4.7.9)  del Vangelo di Giovanni: «Rimanete in me L..] e le  mie parole rimangano in voi […], rimanete nel mio  amore». 

Il discepolo di Gesù, individuo e comunità, alla  domanda “dove sei” risponde: nella compagnia  amica del mio Signore, attento all’ascolto della sua  parola, compagnia e parola segni del suo grande  amore per tutti e per ciascuno. Da questa  collocazione, sua vera patria, egli legge e vive la  realtà nella consapevolezza di trovarsi di fronte non  a un discorso per anime pie ed elette, ma  semplicemente al «principio costitutivo essenziale  di ogni vita cristiana» (Raymond Edward Brown).  Ciò che definisce il cristiano è l’imprescindibile  relazione con Gesù, il risorto-vivente, e con i doni  della sua parola e del suo amore, rapporto che  l’evangelista Giovanni esemplifica facendo ricorso a  una formula di immanenza: «Rimanete in me e io in  voi» spiegata dall’immagine della vite e dei tralci,  cara al retroterra biblico profetico e salmodico che  ama leggere Israele in termini di vigna di Dio (cf.  Osea 10, 1; Isaia 5, 1-7; Geremia 2, 21; Ezechiele 15,  1-8; 19, 10-14; Salmo 80, 9.19). 

2. L’immagine inizia con il presentare i soggetti  in questione: in alto il Padre: «Il Padre mio è il vignaiolo», al centro il Signore Gesù: «Io sono la  vera vite», accanto a Gesù i discepoli: «Io sono la  vite, voi i tralci» (Giovanni 15, 1.5), sullo sfondo l’intenzione propria al racconto: «Che portiate  molto frutto» (Giovanni 15, 8). Il problema sotteso  al brano evangelico è l’operare dell’uomo, se e quali  frutti produce, il che dipende da dove il suo mondo  interiore dimora, dalla collocazione del cuore: se in  un terreno buono, lo saranno anche i frutti,  diversamente sarà il contrario. 

La cosa sta molto a cuore al Padre di Gesù, un  Dio nel dolore a motivo del dolore che l’uomo  arreca all’uomo e a se stesso; per questo, nel suo  amore ferito ma non risentito, decide di inviare  come sua ultima risorsa il Figlio, la cui compagnia,  ove accolta, e la cui parola, ove osservata, generano  la nuova soggettività capace del compimento del  bene: amare come amati dal Padre in Cristo (cf.  Giovanni 13, 34). Questo è il frutto desiderato dal  Padre che glorifica il Padre (cf. Giovanni 15, 8), lo manifesta, cioè, come amore nel suo desiderio di  fioritura e di fruttificazione dell’essere, desiderio  pienamente condiviso dal Figlio. Dio per questa  ragione merita il grazie e la lode dell’uomo, l’onore. Il resto è conseguenza. Lo è l’esortazione a  «rimanere in lui e nella sua parola» come i tralci  nella vite, a aderire, cioè, al “tu” di nome Gesù e al  suo messaggio senza tentennamenti, ma fermi e  perseveranti in una amicizia e in una parola che  restituiscono alla tavola della vita come uva  pregiata. Lo è l’esortazione a non recidersi da lui,  dal suo dire e dal voler bene, simili a tralci staccati  dalla vite, pena lo scivolamento nell’impotenza:  «Senza di me non potete far nulla» (Giovanni 15, 5).  Sono molte le cose che l’uomo fa e può fare, ma il  discepolo sa che solo in-con-per Gesù è possibile  dire Abbà-Padre, è possibile amare come il Padre ci  ama in Gesù, è possibile proclamare che nell’amare  come amati sta la vita eterna. Un già in cammino  verso il non ancora della sua adempiuta  fruttificazione. Infine, conseguenza è l’esortazione a lasciarsi potare dal Padre-vignaiolo (cf. Giovanni 15,  2), indice di una cura tesa alla creazione, di  discepoli evangelicamente affinati, portatori dei  frutti buoni dell’adorazione (cf. Giovanni 4, 23),  dell’amore e della vita eterna. 

3. «Uomo, dove sei?» La comunità cristiana è  chiamata, là ove essa dimora, a risvegliare la  domanda e a raccontare con la vita e con l’annuncio  la propria esperienza, l’essere stati incontrati da un Tu la cui compagnia genera grappoli di uva  buona e coppe di vino squisito, per la gioia di una  umanità non privata di canti al cielo e di atti di  amore alla terra. Un’alta qualità della vita che in sé e  per sé racconta chi l’ha generata.

Giancarlo Bruni, (1938) appartiene all’Ordine dei Servi di Maria e nello stesso tempo è monaco della Comunità ecumenica di Bose.

Risiede un po’ a Bose e un po’ all’eremo di San Pietro alle Stinche (FI).