XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Anno B – Giobbe 38, 1.8-11; 2Corinzi 5, 14-17; Marco 4, 35-41
VERSO LA SPONDA DELLA NON PAURA E DELLA FEDE
Giancarlo Bruni O.S.M., in Buona cosa è il sale, ed. Servitium ed. a Cura del Priorato di Sant’Egidio – Sotto il Monte (BG) pag. 137-139; 12.a Domenica del T.O. – Anno B

1. Il brano evangelico della tempesta sedata va letto all’interno di una sezione che ruota attorno all’autorità di Gesù e alla fiducia in Gesù (cf. Marco 4, 35-6, 6). Autorità nei confronti di potenze che impauriscono e schiacciano l’uomo: sconvolgimenti naturali (cf. Marco 4, 35-41), il male oscuro dell’alienazione annidato nelle profondità dell’essere che rende stranieri a sé e agli altri, senza parola, (cf. Marco 5, 1- 20), malattie (cf. Marco 5, 23-3) e morte (cf. Marco 5, 21- 24.35-43). In Gesù la regalità di Dio è tutta al servizio dell’uscita dell’uomo da tutto ciò che gli impedisce una vita autenticamente umana, e lo è con una forza che incute grande timore, spavento: «Chi è costui?» (Marco 4, 41). Viene così aperto il versante della fede come cammino verso una sempre più approfondita conoscenza del “segreto” di Gesù, inscindibile da un’adesione a lui e alla sua parola liberatrice sempre più salda e fiduciosa. Fede al momento debole: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (Marco 4, 40).
2. Fede da parte di chi? Da parte di uomini che non temono di fare verità su se stessi, leggendosi come creature esposte al rischio, al naufragio dai molteplici nomi. Come sempre. Fede in chi? In un Tu che decide di farsi vicino a questi uomini, al loro fianco nell’attraversata della vita: una presenza misteriosa più forte della tempesta, dei mali che devastano la mente e il corpo e più forte della stessa morte.
Un Tu, suggerisce Marco, alla cui indicibile verità introduce proprio l’episodio della tempesta sedata, il fatto stesso che «il vento e il mare gli obbediscono» (Marco 4, 41).
Vediamo da vicino il testo, un racconto che sorprende con i suoi contrasti, tra cui spiccano quelli tra la forza scatenata del mare e la calma regale di Gesù: sono in campo, come nell’”in principio” della creazione, un “in principio” sempre in atto, il caos e la parola ordinatrice: «Taci, calmati» (Marco 4, 39). E ancora quello tra la paura di soccombere da parte dei discepoli e il riposare disteso di Gesù, due modi diversi di attraversare il mare tempestoso della vita. Possibile, quello non agitato del Maestro, a quanti in intera fiducia fanno di lui la propria barca prendendolo con sé (cf. Marco 4, 36), scegliendolo come compagno di traversata del mare. Annotazione, questa del mare, non casuale.
Il mare in ottica giudaica evoca una realtà ostile di cui diffidare, capace, quando non imbrigliato, di inghiottire quanti lo solcano. Mare, dunque, come personificazione del caos su cui Dio interviene a più riprese fissandone i confini (cf. Salmo 104, 7-9), convertendolo in bene per l’uomo (cf. Genesi 49, 25; Deuteronomio 33, 13; Salmo 77, 15-16) e соstituendolo creazione di lode: «Lodate il Signore dalla terra, mostri marini e voi tutti abissi» (Salmo 148, 7) a lui sottomesso: «La tempesta fu ridotta al silenzio, tacquero le onde del mare» (Salmo 107, 29). Dio è più forte delle grandi acque, è il Signore degli abissi che a lui obbediscono (cf. Genesi 1-2; Esodo 14-15).
Questo retroterra è la chiave di lettura del racconto della tempesta sedata: il Dio che nella sua parola mette ordine su un mare simbolo di una natura minacciosa lo fa ora in Gesù, il quale «minacciò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”. Il vento cessò e ci fu grande bonaccia» (Marco 4, 39). Gesto proprio a Dio che nell’evangelista diventa chiara teofania: quell’uomo Gesù non è un semplice maestro che insegna (cf. Marco 4, 1) e neppure un semplice taumaturgo che guarisce, ma, e lo suggerisce proprio quel gesto divino, Dio stesso presente tra i suoi come efficace volontà di bene per i suoi e per l’uomo. Quel gesto rivela pertanto Gesù come Dio, un Dio a cui importa la liberazione dell’uomo da ciò che lo aliena – a una natura avversa: «Calmati»; e poi a uno spirito impuro:
«Esci» (Marco 5, 8); a una donna malata: «Sii guarita» (Marco 5, 34) e a una fanciulla morta: «Alzati» (Marco 5, 41) -. Siamo al cospetto di un’alta visione di Gesù come Dio con noi e per noi a cui i discepoli non sono ancora pervenuti: «Non avete ancora fede? Per voi continuo a rimanere solo il Maestro?» (Marco 4, 38). Comunque sia, la grande traversata dalla sponda della poca conoscenza alla riva della piena conoscenza di lui è iniziata, e più il suo mistero si consegna allo sguardo credente del cuore più si allontana la paura dei nemici dai molti volti. Senza bisogno di svegliarlo quando dorme (cf. Marco 4, 34), ci basta sapere che siamo preziosi per lui e che egli in ultima istanza è più forte di ogni nemico dell’uomo. A ben vedere ciò che latita e sonnecchia è la nostra fede.
3. Il messaggio ci riguarda molto da vicino e investe la questione decisiva del nostro rapporto personale ed ecclesiale con Gesù. Rapporto da costruirsi a partire da una lettura disincantata di sé: siamo creature a rischio naufragio sotto spinte più forti di noi, incontrate da un Tu umanissimo e divino che chiede ospitalità nella barca della nostra vita per attraversare con noi la durezza dei giorni. Un Tu che è sì a noi che domanda il nostro sì nella fiducia, nell’amore e nella speranza; un Tu a noi presenza riposante e bussola orientatrice nelle agitazioni della vita e nell’ora della morte, l’inabissamento con lui nel profondo degli inferi per risalire con lui nell’alto dei cieli.
Giancarlo Bruni, (1938) appartiene all’Ordine dei Servi di Maria e nello stesso tempo è monaco della Comunità ecumenica di Bose.
Risiede un po’ a Bose e un po’ all’eremo di San Pietro alle Stinche (FI).