XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 

Chiamati a divenire grandi 

1. La creatura umana, abituata a sostare nella  propria interiorità, diviene sempre più  capace di dare il nome ai desideri profondi  che la abitano, e, tra questi, la brama non  sempre contessata del primeggiare, la corsa ai  posti che danno pote-re, successo e notorietà.  A questo ordine di pensieri offre frammenti  decisivi di luce la pagina evangelica odierna,  in-trodotta, da un lato, dal secondo annuncio  di passione: «Il Figlio dell’uomo sta per essere  consegnato», e, dall’altro, dalla constatazione  che: «Essi [i discepoli] non capivano queste  parole e avevano timore di interrogarlo»  (Marco 9, 31- 32). L’evangelista annota con  cura la distanza che intercorre tra i pensieri di  Gesù e quelli dei suoi, pur percorrendo la  stessa “via”, termine in Marco metafora della  sequela, del camminare con Gesù dietro a  Gesù. Un fare strada insieme al momento  contraddistinto da due visioni antitetiche  della messianicità. Di fatto, gli occhi e gli  orecchi dei discepoli sono ciechi e sordi (cf.  Marco 4, 12; 8, 18.33) a capire Gesù, il  consegnato dalle mani del Padre a un mondo  amato per farne in lui un mondo nuovo, come  il consegnato dalle mani dell’uomo a una  morte ignominiosa. Un Gesù ridotto a “co-sa”,  consegnato da Giuda ai sommi sacerdoti (cf.  Marco 14,10), da costoro a Pilato (cf. Marco  15, 1.10) e da quest’ultimo ai soldati (cf.  Marco 15, 15). Per Pietro (cf. Marco 8,32), per i  figli di Zebedeo (cf. Marco 10, 35-40) e per i  discepoli in genere lunga è la strada che porta  a una lettura della messianicità in sintonia  con le figure bibliche del “Figlio dell’uomo”  (cf. Daniele 7, 13), del “servo sofferente” (cf. Isaia 52, 13-53, 12) e del “giusto” condannato a  una morte infame (cf. Sapienza 2, 12-20). Una  lettura che, come avvertono gli stessi  discepoli, necessita di supplementi di spiegazione, volutamente sottaciuti per timore di  trovarsi di fronte a un messaggio troppo duro  (cf. Marco 9, 32). Al mo-mento, essi restano  abbarbicati alla loro visione e alle conseguenze che ne derivano: preso il potere  da parte di Gesù, chi siederà alla sua destra e  alla sua sinistra? (cf. Marco 10,37), chi  saranno i primi ministri del suo regno? 

2. E così mentre Gesù annunciava la sua  passione, i discepoli discutevano per via su:  «Chi tra di loro fosse il più grande» (Marco 9,  34), il primo, silenziosi dinanzi all’esplicita  domanda di Gesù: «Di che cosa stavate  discutendo lungo la via?» (Marco 9, 33). Il  tacere di chi si vergogna di uscire allo  scoperto, esponendo apertamente la ragione  di un conflitto presente tra i dodici come nella  comunità di Marco e in quelle di ogni luogo e  tempo. Questione dinanzi alla quale è bene  tacere, dando spazio alla parola di Gesù, una  parola pronunciata in “casa”, metafora del  rapporto intimo e amicale con Gesù. Ieri  come oggi egli si siede dinanzi ai suoi e dice a  tutti ciò che ha detto ai dodici: «”Se uno vuole  essere il primo, sia l’ultimo e servo di tutti”. E,  preso un bambino, lo pose in mezzo e  abbracciandolo disse loro: “Chi accoglie uno  di questi bambini nel mio nome, accoglie me;  chi accoglie me, non accoglie me, ma colui  che mi ha mandato”» (Marco 9,39-37).  Passaggio di rara preziosità in cui Gesù dice  ai suoi ciò che egli è e fa: è il figlio, venuto a  servire e a dare la vita (cf. Marco 10, 45); è il  maestro e signore, venuto quale schiavo a  lavare i piedi (cf. Giovanni 13, 13-15), è il  primo di natura divina che ha spogliato se  stesso, assumendo la forma e la condizione  umane dell’ultimo (cf. Filippesi 2, 6-7), è il  ricco divenuto povero (Corinzi 8, 9). Per Gesù essere il primo vuol dire essere il servo di  tutti da una posizione povera di rilevanza  mondana, servo che elegge a primi della sua  cura gli ultimi qui rappresentati dai bambini,  i poveri per eccellenza nel loro essere totale  dipendenza. Questo è il primato da ricercare,  di esso Gesù in croce è adempiuta esegesi,  spiegazione. 

3. L’insegnamento è chiaro. A nessuno è  richiesto di negare e di negarsi al desiderio di  divenire il primo, avvertiti del fatto che dietro  questa affermazione, se rettamente intesa, si  nasconde la legittima ambizione del divenire  semplicemente se stessi, la propria verità.  Ove ciò accade, li ciascuno è davvero una  primizia unica e irripetibile, non secondo a  nessuno e non gregario di nessuno. Una  primizia, suggerisce Gesù, non posseduta dal demone della prepotenza che rende sudditi  gli altri, che mette i piedi in testa agli altri e  che toglie il respiro agli altri. Ma posseduta  dallo spirito del servizio che soffia all’orecchio della mente la giusta posizione da  assumere nella vita, l’ultima, e ancora gli  amici primi da accogliere e da servire nella  vita, gli ulti-mi, ai quali Cristo stesso si è  identificato (cf. Marco 9, 37), elevandoli a  rango di sacramento della sua presenza.  Spirito di servizio che, intine, soffia alla  nostra mente la lettura di sé come luoghi  attraverso cui Cristo continua ad essere  l’abbraccio di Dio ai poveri della terra:  «Sapendo queste cose, sarete beati se le  metterete in pratica» (Giovanni 13,17). A  questa grandezza chiama colui che fa cose  meravigliose nei suoi umili servi (cf. Luca 1,  49)

Giancarlo Bruni, (1938) appartiene all’Ordine dei Servi di Maria e nello stesso tempo è monaco della Comunità ecumenica di Bose.

Risiede un po’ a Bose e un po’ all’eremo di San Pietro alle Stinche (FI).