XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 

Anno B – Geremia 23, 1-6; Efesini 2, 13-18; Marco 6, 30-34 

IL RETTO USO DEL TEMPO 

Giancarlo Bruni O.S.M., in Buona cosa è il sale, ed. Servitium ed. a Cura del Priorato di Sant’Egidio – Sotto il Monte  (BG) pag. 149-151; 16.a Domenica del T.O. – Anno B 

1. I dodici, su cui è fondata la chiesa apostolica  come compagnia dei chiamati e degli inviati, sono  invitati da Gesù a condividerne un tempo di  distanza da una folla che ininterrottamente si  accalca attorno a loro al punto di non aver tempo  neppure per mangiare. Un andirivieni stancante che  domanda distacco e riposo (cf. Marco 6, 31-32), e  più in generale una riflessione sul retto uso del  tempo. 

2. Evangelicamente vivere bene il tempo  significa tra l’altro imparare a distinguerne i  momenti, le fasi, le stagioni. 

Il momento della solitudine: «Gesù disse loro:  venite in disparte, in un luogo solitario […]. Allora  partirono sulla barca verso un luogo solitario in  disparte» (cf. Marco 6, 31-32). La stagione della  compagnia: «Gesù chiamò i dodici e incominciò a  mandarli a due a due […] ed essi, partiti,  proclamarono che la gente si convertisse» (Marco 6, 7.12). 

Il momento dell’amicizia: «Ne costituì dodici che  stessero con lui» (Marco 3, 14). Tema particolarmente caro a Giovanni: «Non vi chiamo  più servi ma amici» (Giovanni 15, 15). Ciò vale per i  dodici e per tutti i discepoli amati di ogni epoca e  latitudine rappresentati dai tre di Betania: «Gesù  voleva molto bene molto bene a Marta, a sua sorella  Maria e a Lazzaro» (Giovanni 11, 5). Un Gesù  maestro di sapienza nel suo insegnare a discernere  e a non trascurare nessuna di queste dimensioni del  tempo: una iniziazione che è racconto di quanto egli  ha vissuto. Un’esistenza, la sua, e le citazioni  evangeliche si sprecano, ritmata da tempi di  solitudine al cospetto di un Padre a lui rivelazione  di «cose nascoste sin dalla fondazione del mondo»  (Matteo 13, 35), da tempi di compagnia:  «Percorreva i villaggi d’intorno, insegnando»  (Marco 6, 6) e da tempi di amicizia: «In privato, ai  suol discepoli spiegava ogni cosa» (Marco 4, 34). Ciò  che Gesù apprende nel silenzio lo annuncia in pubblico e lo approfondisce nella casa della  sapienza con i suoi, una trilogia inscindibile senza la  quale non si dà retto uso del tempo, solo al  discepolo capace di solitudini aperte all’ascolto  vengono date le giuste parole da proclamare in  piazza. Inoltre, vivere bene il tempo significa  apprendere a coglierne il segno nella commozione:  «Gesù vide molta folla e si commosse per loro,  perché erano come pecore senza pastore, e si mise a  insegnare loro molte cose» (Marco 6, 34). 

Il Gesù della solitudine nella solitudine ha  appreso il come abitare la compagnia umana: in  lucidità, in commozione e in azione. La lucidità di  chi sa individuare i reali bisogni, nel caso una folla  affamata di orientamento e priva di punti di  riferimento. Questo vuol dire discernere il segno del  tempo. La commozione di chi si lascia interpellare  dal bisogno dell’altro avvicinandolo, mosso da una  passione d’amore viscerale, una compassione attiva,  nel caso tradotta in trasmissione di sapienza. In  Gesù il tempo cronologico è convertito in tempo di  grazia, in lui e in quanti fanno di lui il pastore delle  proprie anime (1Pietro 2, 25), la guida all’acquisizione di un occhio di discernimento e di  un cuore compassionevole tradotti in gesto: il dare  da mangiare pane o sapienza: «Voi stessi date loro  da mangiare» (Marco 6, 37). 

3. La lezione che emana dalla pagina evangelica è  altamente eloquente. Il discepolo sa che il tempo è  un dono di cui ringraziare e da riscattare  trasformandolo in “tempo di solitudine”, il  momento del faccia a faccia personalissimo con lui  nell’ascolto (lectio divina) e il momento del pasto  con lui nella distensione dell’amicizia ecclesiale  (fractio panis), e in “tempo di giustizia”, quello  contraddistinto da una forte tenerezza nell’attenzione al gemito di quanti invocano vie  d’uscita alle fami che minacciano la loro quotidiana  esistenza. Un diritto che interpella tutto il nostro  dovere a vedere, a con-soffrire e ad agire. 

Mai sottovalutando la profonda unità e circolarità  tra i due momenti: dalla solitudine contemplativa  alla compagnia attiva nell’agápe, il momento della  consapevolezza dell’essere inviati; e dalla compagnia attiva alla solitudine contemplativa, il  momento assolutamente gratuito nel riposo e nel  grazie con il Tu che ci ama, che quotidianamente ci  restituisce alla consapevolezza della propria verità  di amati per amare, e che ci ricorda che una  solitudine senza sbocco nella compagnia sfocia nella  malattia dell’isolamento e che una compagnia senza  solitudine, che pensa e prega, sfocia nella malattia  della omologazione, smarrito il sale evangelico.

Giancarlo Bruni, (1938) appartiene all’Ordine dei Servi di Maria e nello stesso tempo è monaco della Comunità ecumenica di Bose.

Risiede un po’ a Bose e un po’ all’eremo di San Pietro alle Stinche (FI).