SANTISSIMI CORPO E SANGUE DI CRISTO 

ANNO B – Es 24, 3-8; Eb 9, 11-15; Mc 14, 12-16.22-26 

Presenza affidata a un pane e a un calice di vino  

Giancarlo Bruni. O.S.M., In Buona cosa è il sale,  ed. Servitium ed. A cura del Priorato di  Sant’Egidio – Sotto il Monte (BG) Pag 100-102;  Santissimo corpo e sangue di Cristo – Anno B 

1. La pagina evangelica ruota attorno alla cena  che precede la celebrazione della Pasqua, ne  narra i preparativi (cf. Marco 14, 12-16), lo  svolgimento (cf. Marco 14, 17-25) e la  conclusione (cf. Marco 14, 26-31). Cena con  un suo preciso ordine rituale tutt’ora in uso  nell’ebraismo, il cosiddetto seder o ordine  pasquale, e con i gesti tipici della benedizione  della mensa da parte del padre di famiglia: il  prendere il pane, il benedirlo, lo spezzettarlo e  il porgerlo ai commensali in un clima di  familiarità e di condivisione. Cena che Gesù  vive come particolarmente “sua” (cf. Marco 14, 12. 14): «Ho tanto desiderato»  leggiamo in Luca (22, 15) «mangiare questa  pasqua con voi, prima della mia passione»,  cena che apporta al rito giudaico una  singolare e sconvolgente novità: il pane viene  assimilato al suo “corpo” e il vino al suo  “sangue” versato (cf.  Marco 14, 22.24),  variante che manifesta il significato che Gesù  ha voluto dare a quell’ultimo pasto con i suoi.  Questo pane è il mio corpo, cioè è il mio “io”  pane di benedizione, pane spezzato in riscatto  per molti-tutti (cf. Marco 10, 45) e pane dato  in cibo. Questo vino è il mio sangue, cioè è il  mio “io” vino versato per molti-tutti, vino di  alleanza. Dio nella morte del Figlio, narrata  nei gesti e spiegata dalle parole di quest’ultima cena, si racconta come amico-alleato di ogni uomo, infranta ogni barriera,  fino a svenarsi. 

2. E nasce la chiesa. Ciò che Marco sottende è  reso esplicito dalle narrazioni lucana e paolina  dell’ultima cena: «Fate questo in memoria di  me» (Luca 22, 19; 1Corinzi 11, 24-25) nel  tempo che intercorre tra il «mai più […] fino al  giorno in cui» (Marco 14, 25). La chiesa nasce  a cena come memoria storica di quanto vi  accadde allora; e ciò che Marco trascrive è ciò  che la sua comunità celebra, e ciò che la sua  comunità celebra è quanto adempiuto da Gesù  in quella vigilia di Pasqua. Un Gesù, precisa  l’evangelista, al contempo consapevole di un  “mai più”, il sostare a mensa con i suoi ha in  questo pasto il suo ultimo atto; consapevole di  un “giorno in cui” il futuro sarà un eterno  banchetto, immagine evocativa di ininterrotta  amicizia conviviale oltre ogni male e ogni  morte; e consapevole di un dato elementare.  Nel frattempo della storia, la sua presenza, il  suo più alto gesto di amore visibile in una  croce e la nostalgia di lui, espressa da una  attesa mai venuta meno e sempre invocata,  per non andare perduti devono essere legati a  un gesto immediatamente comprensibile,  come quello del cenare appunto ordinando al  suoi di rifare ciò che egli ha fatto in  quell’ultimo pasto. 

Un insieme di gesti nei quali l’Assente  continua a rendersi veramente e realmente  presente nei panni umili del pane e del vino,  nei quali viene fatta memoria dell’evento cardine della croce e nei quali il “tu” amante  di ogni creatura, fino all’offerta radicale di sé,  si consegna in pasto. 

L’atto di nascita della chiesa sta dunque nel  «fate questo in memoria di me», fatelo per  non dimenticarmi, per non dimenticare il  come vi ho amati e vi amo, voi e ogni nato  sotto il sole di ieri, di oggi e di sempre e per  non dimenticarvi del fatto che l’uomo diventa  ciò che mangia, a mia immagine e somiglianza  pane alle fami dell’uomo e vino alle sue  tristezze. Un “fate” a cui segue un “andate” a  risvegliare la coscienza dell’uomo alla  consapevolezza della preziosità di un simile  alleato. 

3. Celebrare il corpo e il sangue del Signore  equivale a ringraziare Dio per il dono di un  “tu” che ha amato di tutto corpo e di tutto  sangue, che ha letto se stesso come pane e  vino per l’altro e che si consegna in pasto  all’altro per trasformarlo in cibo e bevanda  per l’altro. Il senso dell’eucaristia è posto, è un  essere invitati a cena a contemplare l’Amore  che si è raccontato in un corpo e a mangiare e  bere l’Amore, per essere trasformati in amati amanti in un corpo che è pane al bisogno, e in  un sangue che è vino all’angoscia. 

Il tutto nel rendimento di grazie e nella  consapevolezza che il Santissimo esposto e  portato in processione, là ove questo avviene,  sogna uomini e donne che nel cammino della  vita siano essi la pubblica e corporale  esposizione del suo dirsi come pane e vino  all’uomo benedizione, dedizione e cibo.  Questo è ciò che accade a messa, il tempo di  grazia in cui il desiderio di lui, «vieni»  (Apocalisse 22, 17), da lui accolto, «sì, vengo  presto» (Apocalisse 22, 20), lo è prendendo un  pane, se stesso, spezzandolo, se stesso, e  porgendolo, se stesso, per fare dei commensali dei somiglianti a lui e da lui  inviati nella compagnia umana per raccontare  con i propri sensi, il linguaggio del corpo, un  Dio la cui ragione d’esserci prima in Cristo è  l’esse consegnarsi e ad annunciare risurrezione.

Giancarlo Bruni, (1938) appartiene all’Ordine dei Servi di Maria e nello stesso tempo è monaco della Comunità ecumenica di Bose.

Risiede un po’ a Bose e un po’ all’eremo di San Pietro alle Stinche (FI).