XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Anno B – Proverbi 9, 1-6; Efesini 5, 15-20; Giovanni 6, 51-58
IL CORPO DATO IN PASTO
Giancarlo Bruni O.S.M., in Buona cosa è il sale, ed. Servitium ed. a Cura del Priorato di Sant’Egidio – Sotto il Monte (BG) pag. 162-164; 20.a Domenica del T.O. – Anno B
1. Il segno della moltiplicazione dei pani raggiunge in Giovanni 6, 51-58 la sua adempiuta spiegazione; il discorso sulla manna-pane lascia il posto al discorso pane-carne dell’agnello (cf. Giovanni 1, 29.36). Il Gesù pane che discende dal Padre è la Parola della vita fatta carne (cf. Giovanni 1, 14) ed è l’Agnello spezzato per l’uomo, in lui il Padre si rende presente e tramite lui comunica il suo amore al mondo (cf. Giovanni 3, 16). E in quel «Figlio dell’uomo» (Giovanni 6, 53), al contempo di origine divina, Figlio di Dio, e di origine umana, figlio di Giuseppe (cf. Giovanni 6, 42), che Dio ha deciso di instaurare con il mondo un rapporto decisamente unico, rendendosi udibile, visibile e toccabile (cf. 1 Giovanni 1, 1-4) in quell’umanissimo corpo, in quella carne fragile e mortale.
Gesù non è dunque solo un maestro di sapienza venuto a sbriciolare il pane della sapienza alla tavola dell’uomo, ma è la stessa sapienza fatta carne-fatta sangue, venuta a spezzare-versare se stessa a segno di una dedizione senza riserve, venuta a dare se stessa in pasto e in bevanda a quanti accolgono il suo invito a mensa. Il linguaggio non lascia adito a dubbi: la sua è una carne data da mangiare e il suo è un sangue dato da bere (cf. Giovanni 6, 51-52): «Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda» (Giovanni 6, 55). E i frutti di questo mangiare sono la comunione con lui: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in e con me e io in e con lui» (Giovanni 6, 56); la vita eterna: «Chi mangia questo pane vivrà in eterno» (Giovanni 6, 58); e, terzo, l’assimilazione a colui che viene mangiato e bevuto, il fare del proprio corpo un pane e un calice di vino per il mondo. Questo accade a chi si nutre del nato-morto risorto-asceso, che continua a ridiscendere in maniera ininterrotta e moltiplicata in “quel pane e in quel vino”
2. L’interpretazione eucaristica della moltiplicazione dei pani è chiaramente posta da questa pagina dello scritto giovanneo, pagina che, affidandosi al linguaggio del mangiare e del bere, intende sottolineare il tipo di rapporto che viene a stabilirsi tra Gesù e i suoi discepoli. Di “interiorità”, il Vivente in un corpo di luce vuole trovare dimora nell’intimo dell’uomo, e di “metamorfosi”: un dimorare per trasformare a sua immagine e somiglianza, come lui corpi per l’altro e per l’eternità. Parole dure per una folla che dalla contestazione (cf. Giovanni 6, 41) passa a discussioni litigiose (cf. Giovanni 6, 52) che non approdano al riconoscimento di Gesù come parola pane-agnello di Dio per bocche affamate di sensi inediti e di eternità. Cibo che nell’oggi storico continua a consegnarsi a cena, la cena del Signore.
3. Il nato in un corpo fragile e il risorto atteso in un corpo spirituale nel frattempo della storia viene seduto a mensa con i suoi, porgendo loro i suoi cibi: se stesso come “perdono di Dio”, dando avvio alla comunità dei perdonati, resi capaci di perdonare; se stesso come “parola di Dio” , dando avvio alla comunità dell’ascolto, resa capace di sillabe di luce; e se stesso come “pane e vino di Dio”. Pane e vino, sacramenti di una carne e di un sangue di amore fino allo strazio e segni di un corpo glorioso: il crocifisso è il risorto che continua a offrirsi in pasto, dando avvio alla comunità degli amati, resi capaci di amare, e dei mortali dischiusi all’immortalità.
La moltiplicazione dei pani continua nelle celebrazioni eucaristiche o del rendimento di grazie, memoria e annuncio di un Tu consegnato, che si consegna in pasto a tutti perché nessuno si senta escluso dal suo amore e da quello di suo Padre, e perché nessuno escluda nessuno dal proprio orizzonte d’amore. Eucaristia, dunque, come risveglio della coscienza alla consapevolezza che l’abitare altrimenti la terra è possibile, nutrendosi di Cristo stesso, per raccontarlo in un corpo ferito per amore, nell’attesa di una risurrezione per amore.
Giancarlo Bruni, (1938) appartiene all’Ordine dei Servi di Maria e nello stesso tempo è monaco della Comunità ecumenica di Bose.
Risiede un po’ a Bose e un po’ all’eremo di San Pietro alle Stinche (FI).