ABITARE IL TEMPO DI CRISI: DA APOCALITTICI? 

Giancarlo Bruni O.S.M., in Buona cosa è il sale, ed. Servitium ed. a Cura del Priorato di Sant’Egidio – Sotto il Monte  (BG) pag. 203-206, 33.a Domenica del T.O. – Anno B 

1. Le domande sull’origine del mondo, le cose  prime o protologia, e sulla fine del mondo, le cose  ultime o escatologia, accompagnano da sempre il  cammino dell’uomo, corredandolo di risposte date  dalle visioni religiose, dalle riflessioni filosofiche e  dalle ipotesi scientifiche. Tra le risposte,  relativamente agli approdi ultimi, vanno  annoverate quella giudaica e quella cristiana sotto  il nome di apocalissi o rivelazioni. Un dato di fatto  testimoniato da un’ampia letteratura, il genere  letterario apocalittico dotato di un suo lógos interiore, vale a dire di una sua interna razionalità  e logicità, i cui capitoli sono catastrofe, imminenza  della fine, ultimo giudizio con relativa separazione  dei buoni dai cattivi e nuova era. Il tutto in un clima  di esaltazione, di paura e di attesa febbrile, attenta  a decifrare segni e a calcolare tempi. Una mentalità  mai venuta meno nel corso della storia e con la  quale lo stesso evangelista, che compone il suo  scritto subito dopo il 70, ha dovuto fare i conti. 

2. Sicuramente nella comunità di Marco erano  presenti gruppi apocalittici, tra i quali circolava  verosimilmente un libricino che alcuni esegeti  hanno denominato “volantino giudeo-cristiano”,  volutamente fatto confluire nel capitolo 13 del  Vangelo per esservi radicalmente trasformato.  Volantino nato a partire da una lettura catastrofica  del presente: sconvolgimenti naturali, guerre,  persecuzioni e all’apice la distruzione di  Gerusalemme e del suo tempio, emblema della fine  di un mondo, preludio della fine prossima del  mondo. Un presente nella “tribolazione” (cf. Marco 23, 24) e nell’«abominio della desolazione» (Marco 13, 14), letti come segni di una storia alla fine:  «Passa la scena, la figura, di questo mondo»  (1Corinzi 7, 31), il tempo si è abbreviato (cf. Marco 13, 20; 1Corinzi 7, 29), non ci sarà un’altra  generazione (cf. Marco 13, 34). Segni al contempo  dell’imminente venuta del Figlio dell’uomo nella  potenza e nella gloria (cf. Marco 13, 26) a radunare  gli eletti (cf. Marco 13, 27) nel regno di Dio, in un mondo totalmente altro, vinti l’Avversario, il male  e la morte. 

L’evangelista prende atto di questa ansia  apocalittica cogliendone il positivo: il non poterne  più del “così stanno le cose”, il desiderio di  emancipazione da tutte le potenze e i poteri che  giocano a rendere amara la vita, il sognare un  mondo diverso e l’attenderlo oggi stesso dal  proprio Signore. L’apocalisse è l’urlo del povero in  situazioni estreme, domandarlo alle discariche  della storia che sono le vittime. Marco dunque  prende atto della positività di un atteggiamento, lo  ospita nel suo Vangelo e nel contempo lo lima dalle  sue sfaccettature negative ricorrendo a detti di  Gesù, ripensati nella comunità dei discepoli. 

Un insegnamento introdotto da una forte  esortazione: «Fate attenzione» (Marco 13, 23.33),  «badate a voi stessi» (Marco 13, 9), «vegliate»  (Marco 13, 33.35); un invito a risvegliare la  coscienza su un argomento di sicura importanza  alla luce di parole che mai passeranno, quelle del  Signore (cf. Marco 13, 31). Parole che in negativo  dicono: state attenti a non scindere segni e realtà, a  non perdervi in calcoli e a non divenire creduloni.  Terremoti, carestie, tsunami, impreviste variazioni  climatiche, guerre di ogni tipo e sradicamento dei  simboli e delle ragioni che danno senso al vivere, il  tempio e la fede, sono innanzitutto non segni della  fine del mondo, ma della quotidianità della storia,  della realtà di sempre, dicono ciò che la vita è. Ogni  dolore non è che un sempre nuovo «inizio dei  dolori» (Marco 13, 8), e per ogni distruzione vale il  «non è ancora la fine» (Marco 13, 7). 

Un invito, pertanto, a leggere la tribolazione desolazione del presente alla luce del principio  della realtà, figlia di cuori di pietra e di istituzioni  di interesse, restie a convertirsi. Una lettura che  non esclude ovviamente il principio utopia,  l’invocare la fine di questo mondo sperando  l’apparizione di ciò che ancora non ha luogo, un  mondo diverso.

Inoltre, i discepoli sono invitati a non perdere tempo e senno dietro calcoli di ore, di giorni e di  tempi. Ecologia mentale è riconoscere di non  sapere quando finirà il mondo e come, e quando il  Figlio dell’uomo ritornerà a rinnovare la faccia  della terra e dell’universo sulle ceneri del vecchio  (cf. Marco 13, 7.32-36). Infine, il badare a se stessi  implica l’uscire dalla condizione di creduloni  affascinati da falsi cristi e da falsi profeti che si  presentano sotto le vesti di “io sono” la soluzione  del problema dell’uomo e del suo destino (cf. Marco 13, 6.21-23). Compito del discepolo è  irridere idoli e idolatria, ancorato al suo Signore e  alla sua parola (cf. Marco 13,31). 

3. Chiarito come non abitare il tempo della crisi,  da illusi di una fine che si presume imminente e  calcolabile e da dipendenti che si affidano al  fascino di pseudo-veggenti più o meno improvvisati, il discorso si fa positivo. Con  intelligenza l’evangelista ha collocato il discorso  escatologico avanti il racconto della passione risurrezione, a voler dire che la pasqua è la chiave  di lettura delle cose ultime. Il come Cristo ha  vissuto il tempo della sua crisi diventa il come la  deve vivere il discepolo. Cristo che patisce a causa  dell’uomo è un evento apocalittico nel rivelare, in  termini definitivi ed esemplari, ultimi, la malvagità  e l’ignoranza dell’uomo, costituito archetipo e  riassunto delle vittime di ogni dove. 

Cristo, che è passione d’amore per chi lo ferisce  a morte, tutti, è un evento apocalittico nel rivelare  a tutti che Dio è buono verso tutti, costituito  archetipo e riassunto di chi sorride al proprio  nemico. Cristo risorto dai morti è evento  apocalittico nel rivelare che la morte non ha potere  su chi ama, primogenito dei risorti nel mondo  senza odio di Dio. 

Come allora attraversare il tempo della crisi,  della tribolazione e della devastazione? Con  l’occhio della lucidità, è l’ora del grande male; con  l’occhio dell’agápe, è l’ora di amare chi ti fa e chi fa  il male; con l’occhio della speranza, è l’ora di  sapere che gli amori dati, coniugati all’attesa  invocata dell’amato (cf. 1Corinzi 16, 22; Apocalisse 22, 17) e dei cieli nuovi e della terra nuova (cf.  2Pietro 3, 13; Apocalisse 21, 1) affrettano la venuta  dei tempi della consolazione (cf. Atti 3, 19-21).  Apocalittici sì, ma come? Dicendo a tutti e  testimoniando a tutti, nella perseveranza (cf. Marco 13, 9-13.37), che il mondo del male inizia a finire là  ove nascono creature di preghiera e di fuoco, un “in  principio” verso il suo compimento, il cui giorno è  noto a Dio. Queste le cose a cui badare, a cui porre  attenzione e su cui vigilare. 

Amare la terra è abitarla diversamente e  sognarla altrimenti, è affrettarne l’assoluta novità  con la santità della vita e la forza dell’intercessione.

Giancarlo Bruni, (1938) appartiene all’Ordine dei Servi di Maria e nello stesso tempo è monaco della Comunità ecumenica di Bose.

Risiede un po’ a Bose e un po’ all’eremo di San Pietro alle Stinche (FI).