XI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Anno B – Ezechiele 17, 22-24; 2Corinzi 5, 6-10; Marco 4, 26-34
SEMINARE, CONTEMPLARE E ATTENDERE NOVITÀ
Giancarlo Bruni O.S.M., in Buona cosa è il sale, ed. Servitium ed. a Cura del Priorato di Sant’Egidio – Sotto il Monte (BG) pag. 134-136; 11.a Domenica del T.O. – Anno B
1. Gesù, l’annunciatore del regno di Dio (cf. Marco 1, 14), diventa il maestro che spiega il «mistero del regno di Dio» (Marco 4, 11) in parabole, attraverso cioè paragoni, confronti e similitudini, alla cui intelligenza profonda si perviene solo mediante la disponibilità all’accoglienza di lui, lasciandosi coinvolgere dalla sua parola. Diversamente si rimane al di fuori di un messaggio, anche se apparentemente semplice.
Parabole provocate da un disagio, l’opposizione nei confronti di Gesù (cf. Marco 2, 7; 3, 6; 6, 5-6), lo scarso numero dei seguaci di Gesù (cf. Luca 12, 32) e la fatica della novità introdotta da Gesù a imporsi: il regno non attira l’attenzione (cf. Luca 17, 21). L’annuncio di un mondo finalmente nel diritto, nella giustizia, nella pace, nella gioia e nella vita, l’attesa dei poveri della terra, la fretta dei poveri della terra, tarda a venire e i suoi segni sono poca cosa, nascosta e non appariscente. Ed è proprio quest’ultimo aspetto a provocare l’intervento di Gesù affidato a due parabole.
2. Nella parabola del seme che spunta da solo (cf. Marco 4, 26-29) il seguito di Gesù, folle e discepoli, è invitato a osservare il lavoro del contadino perché la stessa cosa succede al regno di Dio. Gesù è il contadino che sa di essere stato inviato a gettare nel solco della storia il seme del regno, il seme, cioè, da cui deve nascere un mondo nuovo, nell’armonia Dio-uomo-cosmo, vinti male e morte. Gesù è il contadino che sa che tra la seminagione e il raccolto vi è il tempo dell’attesa paziente e tranquilla nella speranza; la buona notizia dei nuovi cieli e di una terra nuova (cf. 2Pietro 3, 13) ha le sue stagioni di maturazione, lo stelo-la spiga-il frutto maturo, e la forza di divenire autonomamente ciò che deve. Gesù infine è il contadino che sa che ciò che tarda avverrà a suo tempo, il tempo del raccolto nel giorno noto a Dio.
La parabola del granello di senape (cf. Marco 4, 30-32), da parte sua, pone in luce il contrasto tra un inizio piccolissimo, nascosto, insignificante e un termine in cui il regno o mondo secondo Dio lo sarà per tutti i popoli, tutti abbracciando (cf. Daniele 4, 17-19; Ezechiele 31, 3). Se la prima parabola pone in risalto la crescita spontanea del regno in ragione della forza insita in esso, la seconda sottolinea la sua grandezza finale, nonostante ogni possibile difficoltà e ogni non notorietà storica. Un lievito, dirà Matteo (cf. Matteo 13, 33), nascosto sì, ma in grado di lievitare tutta la storia portandola a maturazione.
Gesù con queste similitudini entra nello scoramento dei suoi di ieri, di oggi e di sempre, siamo una minoranza esigua; entra nella loro cecità: dov’è il nuovo? Entra nella loro fretta apocalittica, ansiosa di calcolare i tempi e di leggere i segni: a quando il nuovo? Entra nella loro esasperazione: affrettare il nuovo con la violenza della spada; nel loro lungo compromesso: imporre il nuovo con l’appoggio del braccio politico; e nella loro paura: siamo accerchiati. Un entrare che dichiara vani ogni agitazione e affanno, un entrare che equivale a un ingresso nel suo orizzonte di lettura che dischiude alla serenità dell’agire e della paziente attesa.
3. Orizzonte spiegato ai suoi in segreto (cf. Marco 4, 33-34), in disparte, da soli (cf. Marco 6, 31s; 9, 2.28; 13, 3), uno spiegare in cui Gesù insegna a fare ciò che egli fa: come me-così voi. Come io semino così voi in nome mio seminerete la buona notizia del regno di generazione in generazione.
Seminagione è il lavoro del discepolo. E ancora: come io osservo con sguardo dolce il già dei frutti della seminagione, così voi con l’occhio delle profondità gioite nel cogliere i segni del passaggio di Dio, la nuova creazione riconciliata con il cielo e con la terra, l’oasi dei figli, a tutti e al tutto fratelli e custodi.
Contemplare il nuovo, rallegrarsene, ringraziare e additarlo è il compito dei discepoli, liberi dal ripiegamento su di sé, pochi o tanti, accolti o non accolti, rilevanti o non rilevanti. Un perder tempo, un inseguire il vento, un vano affannarsi. E infine: come io attendo in non agitata pazienza la fioritura del seminato, così voi, sgomberata la mente dall’ansia di un quando noto a Dio e dall’ansia di un protagonismo non richiesto. Attendere nella pazienza e nella preghiera: «Venga il tuo regno» è l’atteggiamento del discepolo, sentinella del futuro. Una parola detta a ciascuno e a ogni comunità in forma di parabola (cf. Marco 4, 33) che, ove accolta, converte il nostro enigma in mistero, in lettura di sé secondo Cristo: mano che lo semina nella storia, mente che lo contempla operante nella storia, fronte protesa in avanti che lo attende, «Vieni, Signore Gesù», a portare a compimento l’opera iniziata. Il seme della novità è lui.
Giancarlo Bruni, (1938) appartiene all’Ordine dei Servi di Maria e nello stesso tempo è monaco della Comunità ecumenica di Bose.
Risiede un po’ a Bose e un po’ all’eremo di San Pietro alle Stinche (FI).