XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 

Anno B – Sapienza 7, 7-11; Ebrei 4, 12-13; Marco 10, 17-30 

IL RICCO E LA SOGLIA NON VARCATA 

Giancarlo Bruni O.S.M., in Buona cosa è il sale, ed. Servitium ed. a Cura del Priorato di Sant’Egidio – Sotto il Monte  (BG) pag. 187-190, 28.a Domenica del T.O. – Anno B 

1. Marco narra di un tale (cf. Marco 10, 17), giovane di età secondo Matteo (cf. Matteo 19, 20), notabile non più giovane secondo Luca (cf. Luca 18, 18.21), di condizione benestante: «Possedeva  infatti molti beni» (Marco 10, 22), «era molto  ricco» (Luca 18, 23). Un possidente con un  interrogativo che gli attraversa lanima: è  nellabbondanza economica e nella stima sociale, ha ereditato lereditabile, eppure è inquieto e non  pienamente soddisfatto. Gli manca qualcosa, un  deficit che fa di quelluomo un essere di ricerca che  con sollecitudine non teme di varcare la soglia  della sua abitazione e della sua condizione per  incrociare, quale mendicante di frammenti di luce, la via di un tale di nome Gesù che passava di là. Un  caso che il desiderio di trovare una via duscita alla  propria domanda ha convertito in evento, quello  dellincontro. 

Una prima annotazione. Solo il desiderio di altro  e di incontri di senso fa dellio murato in se stesso, nelle sue sicurezze e nelle sue paure un homo viator, una creatura della strada capace di fiutare  chi passa per via. È il caso del ricco del racconto  evangelico che, spinto dalla brama di una parola di  sale al suo interrogativo, esce dai suoi confini, corre da Gesù, si inginocchia davanti a lui e lo  rende partecipe del suo problema: «Maestro  buono, che cosa devo fare per avere in eredità la  vita eterna?» (Marco 10, 17). Da annotare come  questuomo di domanda e di ricerca si riveli altresì  uomo di discernimento, indice dellurgenza del  saper distinguere i buoni dai cattivi maestri, una  soglia non sempre facile da varcare. E uomo di  invocazione: la sua sete di conoscenza del che fare  si affida a una fontana di nome Gesù, detto  maestro, perché sa insegnare, sa cioè trasmettere  segni, parole-simboli-gesti, che sono chiavi di  lettura in grado di orientare in positivo il cammino  delluomo dentro la complessità del reale. Detto  maestro buono perché insegna ciò che è buono bene (cf. Matteo 19, 17), vale a dire Dio e la sua via, e perché testimonia con la vita ciò che insegna. In  lui parola e gesto sono indissolubilmente congiunti. 

2. La narrazione evangelica è davvero una  lezione magistralenel suo iniziare a una  intelligenza semplice e profonda della figura della  soglia, nel suo dirci che il confine lo si varca  quando si coniugano percezione di una mancanza, desiderio di colmarla e coraggio di attingere acqua  che sgorga da presenze di saggezza, veicoli della  sapienza di Dio fatta carne in Gesù. 

È questa la prima tappa di un cammino a cui  segue quella dellindicazione della via da  intraprendere per pervenire alla meta della vita  eterna, la via del prendere in mano la propria vita e  del chiedersi qual è la ragione vera che la sostiene  e la dirige. Ragione che di fatto diventa legge al  cammino delluomo, legge che per Gesù sono i  comandamenti definiti dalla Torah, specificata mente quelli della seconda tavola che si riferiscono  ai doveri verso il prossimo; precetti da leggersi alla  luce dell«amerai il prossimo tuo come te stesso»  (Levitico 19, 18). In sintesi, lesodo verso la terra  promessa di una vita bella e buona, umanissima  quindi e sottratta al potere della morte, è la via del  bene a cui si accede, suggerisce Gesù, varcando la  soglia della legge-Torah

Alla domanda che, aprendo varchi, introduce nei  sentieri della ricerca succede la sorpresa di un  incontro, che apre la porta a una parola di senso, a  un esistere che trasforma il presente e dischiude al  futuro. Un esserci nel bene nella lucida, amata e  voluta consapevolezza che cosa buona è non  uccidere luomo: il suo sangue, i suoi legami e il suo  diritto a relazioni nella non doppiezza, nella non  illusione e nellonore (cf. Marco 10, 19), e non sono  che esempi, sono il tuo limite e la tua verità. 

Il volto dellaltro, che è insieme interpellanza  categorica e invocazione struggente a non essere  violato in sé, nei propri affetti, nei propri pensieri e  nelle proprie cose, diventa la rivelazione del tuo volto, della tua verità: divenire il custode dellaltro.  Senza condizioni, come testimonierà il consegnarsi  in amore e libertà di Gesù a coloro che lo hanno  consegnato a morte. Una soglia, questa della  custodia, attraversata dal ricco: «Maestro, tutto  questo lho custodito fin dalla mia giovinezza»  (Marco 10, 20), una confessione che libera in Gesù  uno sguardo damore nei suoi confronti, tradotto in  una singolarissima parola: «Una cosa sola ti  manca: va, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e  avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!. Ma a  queste parole egli si fece scuro in volto e se ne  andò rattristato; possedeva infatti molti beni» (Marco 10, 21-22). 

La soglia data da una chiamata personalissima, il passare oltre divenendo compagno di viaggio di  un amico trovato, condividendone il sogno di  dedizione incondizionata di sé e di donazione  totale di ciò che si ha a vantaggio del povero  mondo, non è stata varcata. A motivo di un amore  più grande, la ricchezza. E un uomo chiamato a  divenire senza riserve la sua verità, il perdersi per  un amico e il perdere per i poveri, ciò che gli  mancava per essere compiutamente se stesso, nel  negarsi a questo, finisce per varcare la soglia  delloscurità e della tristezza. La luminosità e la  gioia di chi si consegna allorizzonte del dono  lasciano il posto alloscurità e alla tristezza, figlie  della conservazione di sé e di ricchezze murate. 

3. Un capitolo attualissimo, quello del rapporto  ricchezza-felicità sotteso al brano evangelico. Il  ricco che ha varcato la soglia della giusta domanda:  se vi sia un presente che meriti futuro e un modo di  essere e di esistere che renda sensato e felice il  giorno dato a vivere, giorno proteso a una fioritura  che neppure la morte può interrompere, si è  arrestato dinanzi alla proposta e, da quel momento, le cose non saranno più come prima, entra nella  tristezza, si è preclusa la felicità.

Giancarlo Bruni, (1938) appartiene all’Ordine dei Servi di Maria e nello stesso tempo è monaco della Comunità ecumenica di Bose.

Risiede un po’ a Bose e un po’ all’eremo di San Pietro alle Stinche (FI).