XXXII TEMPO ORDINARIO
Anno A – Sap 6,12-16; Sal 62; 1Ts 4,13-18; Mt 25,1-13
Le DIECI VERGINI
Giovanni Vannucci, «Le dieci vergini», 32a domenica del tempo ordinario – Anno A; in Risveglio della coscienza, 1a ed. Centro studi ecumenici Giovanni XXIII, Sotto il Monte (BG) ed. CENS, Milano 1984. Pag. 185-187.
L’importante parabola riferita in Matteo 25, 1-13 concerne e le stirpi e gli individui umani.
La figura delle dieci Vergini, tutte con la lampada accesa, alcune con la scorta d’olio, altre senza, differenzia i due possibili atteggiamenti dell’attesa. Lo Sposo che deve venire è Cristo.
Tutte le forme religiose sono caratterizzate dall’attesa di un evento, di un maestro, di un salvatore, la cui venuta sarebbe seguita da un radicale mutamento delle dolorose vicende della vita terrena. Le dieci Vergini della parabola raffigurano le varie razze o nazioni umane nella loro attesa del salvatore. La lampada che tutte hanno accesa simboleggia la ragione naturale che illumina indistintamente tutti gli uomini; l’olio di scorta è il simbolo della fede ideale, della speranza, dell’amore che devono dare la forza della pazienza, la genialità dell’intuizione, che sopperiscono all’insufficienza della ragione naturale.
Così, alcuni popoli arrivarono per la ragione naturale all’intuizione della necessità di un Salvatore, ma non seppero attenderlo nella veglia e quando venne non lo riconobbero. Altri popoli, più ricchi d’ideali e di fede nella vita, anche loro si addormentarono nell’attesa che fu l’esaurimento di tutta la speranza fondata nella ragione naturale, e quando l’Atteso venne, ebbero di che rifornire le lampade d’olio e poterono con lui entrare nella sala nuziale.
Gli uomini possono, per la ragione naturale, accendere le loro lampade e illuminare la via, possono conoscere e sapere quello che attendono. I saggi si fanno una scorta d’olio, cioè coltivano e alimentano dentro di loro quelle energie che superano la ragione naturale: la fede, la speranza, l’amore. Gli stolti, presumendo che basti la ragione naturale, non si preoccupano di farsi una scorta, e quando l’attesa dura a lungo, si addormentano. I saggi, come i folli, sono tutti svegliati dalla voce
che grida: Ecco lo Sposo! Tutti si svegliano, ma le lampade alimentate solo dalla ragione naturale sono spente e l’olio è finito; solo le lampade alimentate anche dall’intuitiva virtù hanno la scorta d’olio che permette loro di continuare ad ardere. La ragione naturale ci può fare onesti e retti, ma è la grazia soprannaturale che ci fa saggi e santi e, se la prima serve per l’esistenza, la seconda è indispensabile per raggiungere la vita eterna. La ragione naturale ci fa uomini, la grazia ci rende figli di Dio.
Le quattro virtù cardinali sono, nella natura dell’uomo terrestre, indispensabili per sussistere su questa terra, ma sono le virtù teologali che permettono l’ingresso nel regno di Dio. Il termine “teologali” indica la loro natura divina, è nella natura divina dell’uomo che esse germinano e operano. Anche per fare il male occorrono le virtù cardinali; durare tenacemente nelle avversità, essere morigerati, procedere con cauta prudenza in ogni cosa, mantenere gli impegni presi sono qualità umane necessarie per una qualunque riuscita nell’esistenza.
Credere nella vita dello Spirito, credere nella vita divina e aderirvi, malgrado ogni evidenza contraria, sperare fortemente in un’alta idealità di bellezza e di armonia, amare tenacemente, malgrado ogni ingiuria, amare i propri nemici, servire i propri amici e, soprattutto, amare ineffabilmente Iddio, come cagione prima e ultima di ogni bene: ecco il carattere di chi assurge al divino, di chi ha olio per la sua lampada, prima e dopo il sonno della morte; il carattere di chi entrerà con lo Sposo nella sala nuziale.
La ragione naturale ha, come sue espressioni, i mezzi animici in tutte le loro possibilità di vibrazioni, ma la natura soprannaturale dell’uomo sale con il puro intelletto alle bellezze eterne dello Spirito e si compie nella contemplazione serena e sicura. La ragione naturale serve per “esistere”,
non per “essere”; serve su un piano di contingenza, non su quello di essenza e di assolutezza.
Per entrare nella sala del convito con lo Sposo, occorre sviluppare la natura spirituale, essere cioè sopra la natura corporea, esistenziale. Solo l’olio di riserva, l’olio che non si vede, ci permetterà di accendere la lampada ancora una volta, la lampada
che si è spenta, la lampada della vita.
«Vergini sagge» sono coloro che credono contro ogni evidenza, che sperano contro ogni apparenza, che amano contro ogni manifestazione di disamore. «Vergini folli» sono coloro che credono a ciò che vedono, o credono di vedere, che confidano in ciò che possiedono o credono di possedere, e che per amare aspettano di essere amati, e ancora hanno paura di lanciarsi. La lampada l’hanno le une e le altre, le prime possono riaccenderla se spenta, le altre no. Le prime entreranno nella sala del convito, le altre no.
Ognuno di noi è una di queste vergini: se sagge o folli spetta a ognuno di noi stabilirlo. Nell’attesa ispezioniamo la nostra lampada, controlliamo la provvista d’olio, non sappiamo quando verrà lo Sposo, sappiamo che se la lampada non è accesa, non entreremo nella sala nuziale. Inutile sarà poi chiedere l’olio a chi l’ha. Nessuno può meritare per nessuno, eccetto Cristo, nessuno può pagare per nessuno. Cristo ha meritato e pagato per tutti. Adesso ognuno di noi risponde in proprio per il bene e per il male, per la saggezza e la follia.
Aspettiamo dunque lo Sposo con le lampade accese e con il vasello colmo; noi fortunati se faremo così!