VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Anno B – Lv 13, 1-2.45-46; 1Cor 10, 31-11, 1; Mc 1, 40-45
INCONTRO DI DESIDERI E AVVISAGLIA DI AMBIGUITÀ
Giancarlo Bruni O.S.M., in Buona cosa è il sale, ed. Servitium ed. a Cura del Priorato di Sant’Egidio – Sotto il Monte (BG) pag. 117-119; 6.a Domenica del T.O. – Anno B
- Per l’evangelista Marco la via della conoscenza di Gesù e del suo significato permanente è data dai suoi incontri con l’uomo posseduto da una turbe psichica, da una febbre e, oggi, dalla lebbra. Incontri rivelativi di un Dio che mostra di non sopportare la diminuzione dell’uomo, e la scure viene posta alla radice di ogni immagine di un Dio esterno all’uomo, che carica l’uomo di precetti pesanti, pronto a castigarlo se non li osserva. E la malattia è uno di questi castighi. Ma egli è venuto a sciogliere e ad alleggerire, egli il Dio della non punizione: «Il mio giogo infatti è leggero e il mio peso dolce» (Matteo 11, 30).
- Illuminante a questo proposito è l’incontro tra Gesù e il lebbroso. Nel sistema giuridico ebraico il lebbroso veniva catalogato nel registro degli “impuri” da evitare, la sua malattia contagiosa lo costringe a dimorare a debita distanza dai luoghi abitati (cf. Levitico 13-14). Una norma tesa in positivo a salvaguardare i sani, mentre, per una certa mentalità, lo status di lebbroso poteva voler dire anche lontananza da Dio, da lui castigato a motivo dei suoi peccati e da lui distante non potendo partecipare alla vita cultuale del popolo. In breve, la separazione è lo statuto del lebbroso, dagli altri e da Dio. Una condizione non desiderata, come testimonia l’iniziativa del lebbroso della pagina evangelica che varca i confini del suo isolamento e “viene” da Gesù (cf. Marco 1, 40). Un venire spinto da un desiderio convertito in supplica: «Se vuoi, puoi purificarmi» (Marco 1, 40); un desiderio indice di una lettura di Gesù come colui «che ha autorità» (Marco 1, 22); un desiderio che combacia con quello di Gesù: «”Lo voglio, sii purificato”. E subito la lebbra scomparve ed egli fu purificato» (Marco 1, 41).
Dio, e la cosa non è mai sottolineata abbastanza, non è distributore di malattia, ma l’esatto contrario. La volontà di Dio in Gesù è volontà di bene, la potenza di Dio in Gesù è potenza messa al servizio della restituzione al villaggio umano e alla pubblica pratica religiosa degli emarginati; è traduzione di compassione: «Ne ebbe compassione» (Marco 1, 41). Il Dio di Gesù non manda mali, non castiga, non accusa, non emargina, non dichiara impuro nessuno, ma la sua opera è manifestare il suo forte e tenero amore per coloro che vengono ritenuti i puniti da Dio, nel caso esemplificati dai lebbrosi. In altri termini, Dio, il puro, in Gesù, il puro, varca i contini della lebbra umana dai molti nomi per restituire l’uomo alla sua bellezza fontale. Cosa possibile in Marco, ove la creatura nel disagio si affida senza riserva alla energia curatrice che trasuda da Gesù.
La sottolineatura di questo aspetto centrale non deve tuttavia attenuare altre sfaccettature volutamente fatte trapelare dall’evangelista. Il racconto di guarigione è immediatamente fatto seguire da una scena che merita considerazione: Gesù si rivolge con severità e indignazione al lebbroso guarito, lo allontana da sé, lo ammonisce di non parlare con nessuno dell’accaduto e lo invia all’istituzione religiosa perché, secondo norma, ne verifichi la guarigione e ne dichiari l’idoneità al reinserimento sociale. Cose che il sanato non fa, divulgando il fatto e costringendo Gesù al nascondimento (cf. Marco 1, 43-45). L’evangelista riassume una situazione di disagio in cui è venuto a trovarsi Gesù, il rischio di venire ridotto a un guaritore itinerante da sfruttare in obbedienza alle proprie aspettative di guarigione (cf. Marco 1, 32). Una lettura a cui Gesù si sottrae e di cui impedisce la divulgazione, indice di una comprensione parziale di lui e dei suoi gesti. Il miracolo è un segno che rimanda ad altri significati: fermarsi al fatto in sé è riduttivo, è, per dirla con l’evangelista Giovanni, cercare pane materiale senza capire a quale genere di fame e a quale pane il gesto della moltiplicazione dei pani rimanda. Gesù si rifiuta di passare per un guaritore alla moda: egli sa bene, come testimonierà la croce, che il vero miracolo sta nel divenire pane spezzato per l’altro, in un corpo ferito e in un’anima nella paura. Si può essere sepolcri imbiancati, vale a dire sani e belli, ma corrotti e brutti dentro; si può essere deboli e fragili fuori, fino a non attirare lo sguardo, e belli dentro per dedizione incondizionata.
- Indicazioni illuminanti. La sequela di Gesù in ultima istanza non si gioca sul miracolo e su una propria iniziativa di farlo conoscere come guaritore, ma sul fare strada con lui, su una intelligenza sempre più profonda dei suoi gesti, sull’ascolto della sua parola e sull’essere inviati da lui. Nello stupore, quello della folla, nel silenzio attento, quello dei discepoli, e nell’attesa del tempo dell’invio. Marco avvisa i suoi lettori-uditori che vi sono visioni di Gesù e annunci su Gesù non scevri da ambiguità anche se motivo di successo:
«Venivano a lui da ogni parte […], ma Gesù rimaneva fuori, in luoghi deserti» (Marco 1, 45).
Giancarlo Bruni, (1938) appartiene all’Ordine dei Servi di Maria e nello stesso tempo è monaco della Comunità ecumenica di Bose.
Risiede un po’ a Bose e un po’ all’eremo di San Pietro alle Stinche (FI).