XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 

Anno B – 1Re 19, 4-8; Efesini 4, 30-5, 2; Giovanni 6, 41-51 

IO SONO IL PANE VIVO 

Giancarlo Bruni O.S.M., in Buona cosa è il sale, ed. Servitium ed. a Cura del Priorato di Sant’Egidio – Sotto il Monte  (BG) pag. 159-161; 19.a Domenica del T.O. – Anno B 

1. Compito prioritario del cristiano nel tempo  presente è conservare viva la domanda di senso e la  memoria di Gesù come porta che vi introduce (cf.  Giovanni 10, 7), come pastore che vi conduce (cf.  Giovanni 10, 11.14), come via che vi accompagna (cf.  Giovanni 14, 6). Un Tu davvero pane e luce (cf.  Giovanni 8, 12; 9, 5) ai pellegrini in cammino verso  la terra promessa di giorni veri perché vissuti in un  amore dato e ritrasmesso che ha il sapore  dell’eternità. Un sogno che neppure il duro  principio della realtà, del così stanno le cose, deve  spegnere. È una responsabilità nella mitezza, nella  umiltà, nella dolcezza e nel dialogo da mai  disattendere, è un atto di amore in un mondo e nei  confronti di un mondo che ai cristiani domanda uno  stile di vita conforme a quello del suonatore di  flauto (cf. Matteo 11, 17), dell’inviato a portare un  lieto messaggio (cf Luca 4. ,18) e del venuto a porre  sulle spalle dell’uomo un giogo dolce e un peso  leggero (cf. Matteo 11, 30).  

Conforme a Gesù-pane che si offre alla bocca  dell’uomo perché l’uomo diventi ciò che mangia:  pane, musica, racconto di buone notizie e presenza  leggera nel villaggio umano. È pertanto di  fondamentale importanza non sbagliare l’immagine  di Gesù, il chi è e il chi è per noi, diversamente  sbagliamo l’immagine di Dio e la nostra. Immagine  nella tradizione cristiana riassunta nella variegata  testimonianza neotestamentaria, compreso Giovanni 6, 41-51. 

2. Esiste una storia mai conclusa degli approcci a  Gesù, ad esempio quella della comunità giovannea  che contempla nel “figlio di Giuseppe”, un uomo di  cui si conoscono padre e madre (cf. Giovanni 6, 42),  l’«Io sono il pane disceso dal cielo» (Giovanni 6, 41),  l’«Io sono il pane della vita» (Giovanni 6,48), l’«Io  sono il pane vivo» (Giovanni 6, 51) e tale pane «è la  mia carne per la vita del mondo» (Giovanni 6, 51).  Una visione in cui definire l’uomo Gesù «pane disceso dal cielo» equivale a dirlo parola inviata da  Dio, mentre il “passaggio dal pane alla carne” – «il  pane che io darò è la mia carne per la vita del  mondo» (Giovanni 6, 51), rimanda al sacrificio  dell’agnello (cf. Giovanni 1 ,36).  

A questa rivelazione di Gesù come pane vivo che  trasmette vita introduce il Dio stesso rivelato da  Gesù: «Nessuno può venire a me, se non lo attira il  Padre che mi ha mandato» (Giovanni 6, 44). Padre la  cui volontà è «che chiunque vede il Figlio e crede in  lui abbia la vita eterna» (Giovanni 6, 40), cioè la  comunione con Dio e con il suo amore che sono  permanenti. Il pensiero dell’evangelista è chiaro, da  un lato l’uomo con la sua domanda di identità, di  orientamento e di approdo e dall’altro lato Gesù  come principio di identificazione dell’uomo in  termini di figlio di Dio (cf. 1 Giovanni 3, 1-3), di  inviato alla terra per esserne il riflesso di amore e di  destinato alla vita eterna. Un Gesù donato dal Padre  e a cui il Padre attrae gli affamati di una profonda  conoscenza del Sé, non un dono passeggero come la  manna ma un pane mangiare il quale significa non  morire più di fame saziati una volta per tutte (cf.  Giovanni 6, 35.48-51) dalla sua attesa sapienza (cf.  Proverbi 9, 1-6; Siracide 24, 19-22). Saziati della  visione ineffabile della propria verità, «chi vede me  vede l’uomo» (Giovanni 19, 5), e saziati della  ineffabile contemplazione del suo Dio – «chi vede  me vede il Padre» (Giovanni 14, 9) – come pane che  si spezza per l’uomo e che si consegna in pasto  all’uomo per deporre in lui questa sua immagine,  all’uomo origine di una lettura di sé come amato dal  Padre per amare come il Padre a similitudine di  Cristo. Porta d’ingresso a questa visione che  ininterrottamente (cf. Giovanni 6, 41.61) fa  discutere (cf. Giovanni 6, 52) è l’atto del credere a  cui si oppone il “mormorare”, verbo dell’incredulità  (cf. Esodo 16, 2.7.8.12).

3. Un credere che in Giovanni equivale ad  accettare come vera la parola-messaggio di Gesù  (Giovanni 2, 22; 4, 21-50; 1Giovanni 3 ,23) e ad  aderire alla sua persona (Giovanni 2, 11; 3, 16.18.36; 4, 39) di Unigenito Figlio di Dio (Giovanni 1, 12; 2, 23; 3, 18; 1 Giovanni 5, 13). Quel figlio di  Giuseppe è il Figlio unico di Dio inviato da Dio come  pane di vita a un mondo affamato di vita, di ragioni  che aprano la vita al senso, ragioni raccontate dalla  sua stessa verità di figlio amato, di fratello che ama  e di risorto nel mondo dell’amore. Presenza e  ragioni che l’orecchio ascolta e che la bocca mangia:  «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno  mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che  io darò è la mia carne per la vita del mondo»  (Giovanni 6, 51). Gesù è un pane il cui amore per il  mondo è stato narrato in un corpo frantumato e  dato in cibo, il cui amore per il mondo vuole  continuare a essere narrato in corpi frantumati e  dati in cibo, corpi resi tali dall’atto del mangiare.  Ciascuno viene assimilato al cibo che mangia. Il  discorso continua.

Giancarlo Bruni, (1938) appartiene all’Ordine dei Servi di Maria e nello stesso tempo è monaco della Comunità ecumenica di Bose.

Risiede un po’ a Bose e un po’ all’eremo di San Pietro alle Stinche (FI).