UNA VEDOVA: ICONA DEL DONO DI SÉ DI CRISTO
Giancarlo Bruni O.S.M., in Buona cosa è il sale, ed. Servitium ed. a Cura del Priorato di Sant’Egidio – Sotto il Monte (BG) pag. 200-202,
32.a Domenica del T.O. – Anno B
1. l gesto dell’obolo della vedova, su cui soffermiamo l’attenzione, è episodio in assoluto decisivo per la comprensione dell’intero scritto di Marco. Ne è una chiave di lettura, non a caso collocata tra la conclusione delle controversie di Gesù al tempio e sul tempio (cf. Marco 11, 27-12, 40) e la profezia sulla distruzione del tempio (cf. Marco 13), con la proclamazione del Cristo, pietra scartata divenuta pietra d’angolo di una nuova costruzione. Opera fatta dal Signore, meraviglia ai nostri occhi (cf. Marco 12, 1-12; Salmo 118, 22-23). Non, dunque, di prima intenzione un racconto morale sulla generosità-non generosità, ma una narrazione esemplificativa del destino di morte di Gesù e del senso di quella morte e dell’intera sua vita.
2. Tutto muove da un atto di osservazione di Gesù, il quale «seduto di fronte al tesoro», alla cassetta, cioè, che raccoglieva le elemosine fatte al tempio, guarda la folla che vi depone la propria offerta. Sostanziosa, molte monete, quella di tanti ricchi; una cifra pressoché insignificante quella di una povera vedova: due monetine che fanno un soldo (cf. Marco 12, 41-42). All’osservazione Gesù fa seguire la chiamata a sé dei discepoli e l’interpretazione di quanto ha visto: questa vedova ha gettato più di tutti: tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere, non il superfluo (cf. Marco 12, 43-44). Non ha gettato, cioè, qualcosa, ma ha buttato la sua stessa vita, il tutto di sé: questa la sua offerta per un mondo, aspetto da sottolineare, rappresentato da un tempio che non dà frutti e da gente che conta, che si distingue per divorare le case delle vedove (cf. Marco 12, 40), dei poveri. In breve, per un mondo non meritevole di ogni luogo e tempo, a cominciare da ciascuno e dalle proprie chiese.
Un gesto assurdo, al di là di ogni logica, da parte di una creatura unica, la sola ad agire così, e per una realtà umana in declino che continua a tagliare i suoi figli minori (cf. Marco 12, 1-8), eppure amata al punto da dare tutto il proprio corpo e tutto il proprio sangue per essa (cf. Marco 14, 22-25). Gesù nella vedova ha letto se stesso e la sua morte così assurda, così inutile e così altamente significativa: è da dono radicale di sé a chi radicalmente ti nega che qualcosa di nuovo può nascere sotto il sole, le lacrime segno di una guarigione (cf. Luca 22, 62) operata da queste piaghe d’amore (cf. 1Pietro 2, 24).
3. Marco apre finestre che costituiranno materia ininterrotta di riflessione nella chiesa delle origini e di sempre, il significato folle e scandaloso (1Corinzi 1, 23) di un evento, la croce, evocato dall’episodio dell’obolo della vedova.
Dio in Cristo si identifica con una creatura nella miseria, la cui generosità senza limite, senza riserve sta nel donare totalmente se stessa, per puro amore, a un mondo assurdo che la sfrutta. Icona dello spegnersi di Cristo per uomini di ogni dove senza frutti, senza qualità, sempre pronti a spegnerlo: io, tu, noi, loro, senza eccezione alcuna, infastiditi dalla sua stessa presenza che costringe a rendersi conto del come siamo presenti al mondo. Ma ove tale dono di sé del Cristo viene accolto, e le vie al sì sono tante quante sono le creature umane, lì inizia a nascere l’uomo nuovo, la catena delle vedove che nella loro pochezza hanno appreso qual è la vera ricchezza che dà senso al vivere e al morire, aprendo scenari inediti di risurrezione: consumare se stessi per ciò che amabile non è.
Sulle orme di Dio in Cristo e in forza del suo sguardo, al contempo lucido e tenero: vede la mia insipienza e ci muore per rendermi sapiente, vede la mia cattiveria e ci muore per rendermi buono, vede la mia meschina astuzia e ci muore per rendermi semplice. Vede la mia non qualità e mi sogna a sua altezza: «predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio» (Romani 8, 29).
Giancarlo Bruni, (1938) appartiene all’Ordine dei Servi di Maria e nello stesso tempo è monaco della Comunità ecumenica di Bose.
Risiede un po’ a Bose e un po’ all’eremo di San Pietro alle Stinche (FI).